11 Settembre.
Stamani, insieme con altri dodici soldati, sono stato comandato di guardia al Tribunale di Guerra del 3° Corpo d'Armata. Ho assistito — come sentinella d'onore — allo svolgimento di due processi poco importanti. Primo. Un territoriale di 39 anni, imputato di abbandono di posto. Faceva il mugnaio. Un povero diavolo che è livido di paura. Il P. M. chiede un anno di reclusione, ma il Tribunale assolve. Secondo processo: quattro imputati di un furto di scarpe. È una storia complicata e noiosa. Il Tribunale condanna. Credevo, in verità, che la Giustizia Militare fosse più sbrigativa, sommaria. È invece minuziosa, analitica. Mi è apparsa più incline all'indulgenza di quella civile, per effetto, forse, di quella specie di imponderabile solidarietà professionale che si stabilisce fra uomini d'arme.
12 Settembre.
Siamo stati richiamati il 31 agosto e la nostra vita di guarnigione è già finita. Si annuncia in forma ufficiale che partiremo domattina alle 7. Si annuncia anche, che verso mezzogiorno il colonnello ci passerà in rivista e ci terrà una «morale». Sono le undici quando la tromba alla porta suona l'attenti: è il colonnello che entra in caserma. Usciamo nel cortile, armati senza zaino. Formiamo una specie di quadrato. Suona un'altra volta l'attenti. Il tenente colonnello parla. Discorso terra terra. Bisogna trovare altri accenti quando si è dinanzi a uomini di trenta e più anni. Bisogna considerare i soldati come uomini. Non come matricole. Pei graduati c'è un supplemento di morale, fatto dal tenente Izzo. Io che sono soldato semplice, me ne vado fuori.
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