— Se fossimo in pianura e in campo aperto, gli austriaci sarebbero presto spacciati! —
24 Ottobre.
Notte di calma assoluta. Mattinata deliziosa di sole. Il primo colpo di cannone è italiano. È finita l'azione? Non ne so nulla. Il Rampoldi, passando dalla mia trincea, mi dice che alcuni dei nostri reparti sono giunti sino al cimitero degli ufficiali austriaci, ma non mi sa dire se ci siano restati. Non tarderò a saperlo, perché il nostro battaglione darà fra poco il cambio al 39°. Anche il pomeriggio è calmo. Sono chiamato alla tenda del tenente Giuseppe Pianu, comandante interinale della 82a compagnia alpini che sta per ritirarsi a quota 1270.
Il Pianu è un sardo e non gli mancano le qualità fisiche e morali dei sardi. Nella tenda ci sono altri ufficiali. Fra gli altri il sottotenente medico Scalpelli. Chiacchiere. Posiamo tutti insieme per un gruppo fotografico. Io tengo, nella destra, una bomba. Il Pianu — ufficiale valorosissimo — mi narra episodi ignoti o poco noti delle prime avanzate italiane nella zona del Monte Nero. Accetto il suo invito e resto a cena con lui e cogli altri. Menu da grande ristorante: risotto, carne arrosto, frittata, frutta, dolce. Vini: Chianti da pasto e Grignolino in bottiglia. È la cena di commiato. Gli alpini, che si sono preparati — silenziosamente — alla partenza, sfilano già per la mulattiera. Pianu fa levare la sua tenda.
Ci salutiamo, con fraterna cordialità.
25 Ottobre.
Cielo di tempesta. Il sole non riesce a rompere la cortina di nuvole che nasconde il Monte Nero. Ecco: gli austriaci ricominciano a bombardarci.
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