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La posizione della nostra trincea non ci permette, in caso di un serio attacco austriaco, nessuna possibilità di scelta: bisogna resistere sino all'ultimo uomo. La trincea è scavata proprio all'orlo di uno scoscendimento del Kukla, che precipita quasi a picco, per alcune centinaia di metri, sino al pianoro dove c'è il Comando di Brigata. Ritirarsi, significa precipitare, rotolare nell'abisso. Resistere, dunque, e siamo pronti!
28 Febbraio.
Oggi abbiamo lavorato di vanghetta e badile. Le solite fucilate tra vedette. Nessun ferito.
29 Febbraio.
Domani avrò i galloni da caporale. Un piccolo avvenimento nella mia vita di soldato. Il capitano ha motivato così la proposta:
«Per l'attività sua esemplare, l'alto spirito bersaglieresco e serenità d'animo. Primo sempre in ogni impresa di lavoro o di ardimento. Incurante dei disagi, zelante e scrupoloso nell'adempimento dei suoi doveri.»
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Dialogo colto a volo ieri sera:
— Tenente Barbieri, quant'è la forza della compagnia montata stasera di guardia alla trincea?
— Centosette uomini.
— Ma lassù non ce ne sono che settantaquattro contati da me.
— Si vede che i «disponibili» non sono di più. —
Fra i cosiddetti «disponibili» c'è sempre qualche «imboscato» che «sbafa» la guardia, cioè, non la fa.
1° Marzo.
Notte di guardia alla trincea. Nevica. Sono sceso all'alba. Battaglia a pallate di neve. Giungono, verso mezzogiorno, alcune bombe austriache. Una vittima. Un alpino del battaglione Bassano. Lo portano in barella al posto di medicazione, ma ci restano un attimo. Brutto segno! L'alpino è mortalmente ferito. Sulla mulattiera c'è una striscia di sangue e di materia cerebrale. Padre Michele mi racconta che al 27° battaglione, che trovasi alla nostra destra, ci sono stati due morti e due feriti da pallottole delle vedette. Anche il tenente Rapetti è ferito, ma non gravemente.
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