Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     Quantunque fosse molto alto, abbiamo fatto fuoco egualmente. Dopo il secondo rancio, quando scendono dai monti le prime ombre della sera, mentre sulle cime si attarda la luminosità del crepuscolo, i soldati si riuniscono e cantano in coro. Sono vecchie canzoni semplici di parole e di melodia, che si prestano al canto a più voci.
     Ieri nel mio «blockhouse» venne cantato il Lamento del soldato per la morte della fidanzata.
     Ecco le parole. I versi sono rozzi, ma c'è in essi una fresca vena di sentimento:

     Trenta mesi che faccio il soldato
     E una lettera mi vedo arrivar.

     Sarà forse la mia amorosa
     Che ho lasciata nel letto ammala.

     A rapporto, signor capitano,
     Se in licenza mi vuole mandar.

     In licenza ti manderia
     Purché ritorni da bravo soldà.

     Glielo giuro, signor capitano,
     Che ritorno da bravo soldà.

     Quando giungo vicino al paese,
     Le campane io sento a suonar.

     Sarà, forse, la mia amorosa
     Che la portano a sotterrar.

     O becchino, che porti la bara
     Per favore, riposati un po'.

     Se da viva, non l'ho mai baciata,
     Or ch'è morta, la voglio baciar!

     La sua bocca, ora, sente di terra,
     Mentre prima odorava di fior!


     Sono le canzoni sgorgate dall'anima primitiva del popolo. Sono passate da generazione a generazione e i soldati se le sono trasmesse da una classe all'altra.
     Ore quindici. Riapparizione del Taube nemico, che vola altissimo. Verso il tramonto, duello stracco delle opposte artiglierie. Distribuzione del tabacco governativo, con le relative tre cartoline in franchigia.
     Si scrive. Si fuma. Il fumo è una distrazione.