Avrei voluto gridargli: «Bravo!». Avrei voluto andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare il primo discorso veramente ed accesamente patriottico che ho sentito in sedici mesi di guerra.
Giornata grigia. Il tenente generale che comanda la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la nostra partenza a riposo in un paese dell'Oltre Isonzo, nell'Italia redenta. Alcune settimane di quiete ci tempreranno per l'azione, quando il giorno verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a trovarmi Enrico Tagliabue, di Monza, parrucchiere e ora artigliere.
È un interventista entusiasta, un amico del Popolo. Dopo cinque mesi di fronte, ha conservato intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale d'interventista. Questi umili figli del popolo, che hanno sentito la bontà della nostra causa e la santità della nostra guerra, meriterebbero di essere «valorizzati» un po' di più, ai fini della vittoria!
Nel pomeriggio un sole pallido schiarisce l'orizzonte. La partenza è fissata per stasera. C'è l'ordine. Si compie oggi il primo mese di trincea sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 che comincia: Viva l'Italia!
Gli austriaci si sono accorti del nostro movimento? Non so. Non credo. Certo è che, a un dato momento, le artiglierie nemiche si sono improvvisamente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato in pieno su un ricovero, ma, fortunatamente, questo era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona fine d'anno.
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