Per i «giorni grigi»
(18 luglio 1915)


      L'altro giorno — per la prima volta io credo dopo otto settimane di guerra — il bollettino quotidiano del comando supremo del nostro esercito recava queste parole: «Nulla da segnalare su tutto il fronte. Situazione invariata». Nient'altro. Non si commette un reato di antipatriottismo se si dice che il numero degli italiani — cui la laconicità del generale Cadorna portò sorpresa e disappunto — non dev'essere stato scarso. Già. Io stesso ho sorpreso un colloquio fra due signori visibilmente appartenenti alla classe borghese colloquio che esprimeva uno stato d'animo più diffuso se non generalizzato.
      — Ha visto? — domandava il più anziano tenendo il dito puntato sulla pagina di un grande giornale lombardo ch'è inutile nominare tanto è conosciuto. — Ha visto?
      — Già — rispondeva l'altro — siamo alla «situazione invariata» dopo quasi due mesi.
      — Come in Francia come dappertutto. Io non comprendo. L'Italia ha tanti soldati...
      Poiché i due amici credettero opportuno a questo punto di troncare la conversazione io conservai il silenzio; se invece quei signori avessero continuato a gemere — sia pure in sordina — sulla «situazione invariata» del comunicato Cadorna sarei entrato terzo più o meno gradito nel discorso e avrei detto presso a poco così:
      «Egregi signori il vostro linguaggio non mi sorprende. Io non vi conosco ma dal tono delle vostre parole sarei indotto a catalogarvi fra quei neutralisti — molti o troppi! — che si sono convertiti — improvvisamente — alla guerra all'alba del giorno 24 di maggio e sabotano volentieri la guerra partecipando con cifre irrisorie alle sottoscrizioni cittadine. Vi comprendo. Non appena avete letto "situazione invariata" il vostro pensiero è volato... in Francia. Vi siete ricordati che per mesi e mesi la situazione è stata sempre invariata o quasi laggiù. L'identità delle parole vi ha fatto supporre un'identità di situazioni. Forse avete bruciato in fondo al cuor vostro un granellino d'incenso all'invincibilità tedesca. Avete torto signori. Io vi suppongo abbastanza intelligenti e vi escludo dal vasto numero dei superficiali e dei faciloni e dei miserabili in malafede — socialisti e giolittiani in prima linea — che si compiacevano — a scopo di neutralità — di raffigurare l'Austria-Ungheria sotto le spoglie di un Francesco Ferrucci giacente mezzo morto per terra mentre l'Italia maramalda vibrava il colpo di grazia. No. La guerra dell'Italia non è — per fortuna — una marcia rumena né una passeggiata di spogliazione di cadaveri. È una faccenda aspra dura e — con tutta probabilità — lunga assai. Oh! certo sarebbe stato "comodo" — troppo comodo! — volare di vittoria in vittoria: ogni passo una conquista ogni scontro un successo. Che gioia per coloro che seguono armati di bandierine le operazioni di guerra sulle carte geografiche potere ogni mattina piantare il vessillo sulle cime dei monti lungo il corso dei fiumi sulle città tanto a lungo agognate e finalmente redente! Ma la guerra non è così rapida come lo spostamento delle bandierine. Il Kaiser ad esempio — che aveva fissato un pranzo a Parigi per la metà di settembre — si trova oggi dopo dodici mesi a... digiuno.

(segue...)