Tra il Monte Nero
il Vrsig e lo Javorceck
(23 settembre 1915)
Lettera a
Giuseppe De Falco.
Da una trincea avanzata
23
settembre 1915.
Carissimo
da dieci giorni mi trovo in
prima linea
ma non ho avuto ancora il piacere di vedere la faccia di
un austriaco. Gli austriaci stanno nascosti nelle loro formidabili
posizioni e ci aspettano
ma non assumono mai l'iniziativa di un
attacco o di un contrattacco.
Ci troviamo in una delle
posizioni più avanzate di tutto il fronte
sul costone di una
montagna alta quasi duemila metri e ripidissima. Per salire e
discendere ci aiutiamo colle corde. Di notte fa freddo
ma di giorno
c'è un magnifico sole.
La guerra
a queste altezze
viene fatta colle pietre e con le bombe. Gli austriaci che occupano
la cima ci fanno questo trattamento. Di giorno i loro tiratori
tutti
appostati alle feritoie delle loro trincee
che distano poche
centinaia di metri da noi
ci mandano qualche pallottola.
L'altro giorno il tenente... —
buono e valoroso
nonché mio caro amico personale — è
stato ferito a una spalla
per fortuna non gravemente. Alla sera i
nemici
nella tema di qualche nostro attacco
cominciano a rotolare
sassi e macigni. A notte alta gettano sulla nostra posizione decine e
decine di bombe. Noi siamo protetti dagli alberi e cerchiamo di
proteggerci con ripari e sacchetti di terra
ma il morto e i feriti
ci cascan sempre.
Non so quanto tempo resteremo
qui e che cosa faremo domani. Questa vita all'aria aperta di giorno e
di notte
non mi dà fastidio. Nessun malato. I miei compagni
sono tutti splendide fibre di combattenti
ricchi di energie
nonostante le dure prove subite in questi primi quattro mesi di
guerra. Gli ufficiali ci trattano con una «camaraderie»
veramente fraterna. Non so se la posta funziona con qualche
regolarità. Non ho ancora ricevuto un rigo dall'Italia
né
una copia del giornale. Aspetto
con pazienza. Mentre ti scrivo
passano sulle nostre teste gli obici delle batterie che ci cercano.
Ma non ce ne curiamo più. Pochi giorni e ci si abitua anche
alla voce del cannone.
(segue...)
|