Dal vecchio al nuovo ministero
(14 giugno 1916)


      Lettera ai redattori del Popolo d'Italia.

      Sera del 14 giugno.
      Cari compagni
      voi sapete che quando sono al fronte e per fronte intendo — si capisce — la prima linea non mi occupo di politica per la semplice ragione che faccio il soldato e non mi resta né tempo né volontà per altre faccende. D'altronde — e voi permettete che lo dica in pubblico — voi non avete affatto bisogno di essere «inspirati» da me; voi interpretate nelle varie contingenze della vita politica nazionale e internazionale così esattamente e fedelmente il mio pensiero che sarei quasi indotto ad ammettere che ciò avvenga per telepatia; si tratta in realtà della nostra lunga consuetudine di lavoro della nostra vecchia comunità di idee che si rivela — automaticamente — nelle pagine del giornale.
      Apro con questa mia lettera una eccezione alla regola che ho osservato fin qui e scrivo di politica a proposito delle ultime vicende ministeriali. Scrivo a crisi scoppiata e non ancora risolta scrivo fra l'uno e l'altro ministero fra il morto e il nascituro per cui è quasi certo che quando queste linee vi perverranno non avranno ormai che un semplice valore «retrospettivo».
      La crisi del gabinetto Salandra e le conseguenti dimissioni che hanno sorpreso e impressionato — sarebbe inutile negarlo! — l'opinione pubblica italiana non meno di quella delle nazioni alleate può essere considerata sotto un triplice punto di vista: quello del «merito» e — subordinatamente — del «tempo» e del «modo». In altri termini: il gabinetto Salandra meritava di essere «dimissionario?». Era questo il momento più propizio? E il «modo» scelto è stato il più degno?

(segue...)