(segue) Dal vecchio al nuovo ministero
(14 giugno 1916)
[Inizio scritto]

      Rispondo «sì» al primo e al secondo quesito e quanto al terzo faccio le mie riserve che esporrò fra poco. Non ho bisogno d'aggiungere che questo terzo punto della questione è meno importante del secondo e può essere considerato «incidentale» di fronte al primo.
      Il «modo» è in rapporto colla crisi ma è — soprattutto — in relazione col costume politico-parlamentare italiano. Nessuno vuole contestare i meriti del gabinetto Salandra durante la crisi europea. Il merito principale consiste in ciò che l'on. Salandra era il meno «preparato» ad affrontare la formidabile situazione nuova. Pensate che quest'uomo ha trent'anni di vita parlamentare e altrettanti di cattedra universitaria di diritto costituzionale e troverete sorprendente — non ostante il suo ingegno e la sua coltura — ch'egli abbia saputo reggere durante la neutralità e durante un anno di guerra il timone di uno stato come il nostro e in circostanze come le attuali.
      Ora l'on. Salandra è caduto vittima della sua mentalità di vecchio deputato conservatore e di vecchio professore universitario. Gli è mancata l'audacia sufficiente per una scelta. Si trattava di scegliere fra parlamento e paese fra la disciplina della persuasione o quella della coazione. Si poteva tollerare un tentativo di conciliazione fra questi elementi antinomici ma fallito o riuscito tale tentativo non si doveva esitar più nel seguire la via tracciata dalla necessità esteriore dei fatti e dall'imperativo interiore della propria coscienza.
      Che è avvenuto invece? Basta ritornare alle cronache parlamentari di questo nostro primo anno di guerra per vedere di che malattia è morto il ministero Salandra. Nessun uomo di stato ebbe mai come l'on. Salandra ha avuto più vasto e vibrante consenso e plauso delle moltitudini popolari. Le manifestazioni di Genova Milano Palermo Napoli Parma e persino Torino sono là a testimoniarlo. Il popolo si offriva ma Salandra non è andato al popolo. Se n'è tenuto lontano. Gli restava la camera ma qui la sua posizione era infinitamente peggiore. Ambiente ostile e refrattario. Voti di maggioranza pletorici che avevano parvenza di unanimità solidale mentre invece lasciavano l'amaro del disgusto in bocca. Quando l'on. Ettore Ciccotti parlò di una «maggioranza che sosteneva il ministero come la corda sostiene l'appiccato» fotografò la realtà. La situazione fu salvata una prima volta con un discorso appunto dell'on. Ciccotti una seconda volta con un discorso dell'on. Cappa. Per sollevare l'ambiente e renderlo più ossigenato ci voleva di quando in quando il discorso «lirico».

(segue...)