Amare i profughi
(28 novembre 1917)


      Dal «Popolo d'Italia» del 28 novembre 1917.

      Non basta soccorrere i profughi che i treni e le tradotte dal Veneto rovesciano ogni giorno a migliaia a migliaia nelle nostre città. Bisogna comprenderli. Non basta comprenderli: bisogna amarli. La ospitalità dev'essere — soprattutto — amore.
      La commiserazione che si esaurisce nella serie delle interiezioni esclamative non è di un popolo forte. La pietà in se stessa può apparire pesante e ingrata a chi riceve. Quasi sempre il gesto della mano che porge nobilita l'offerta anche se esigua.
      Bisogna amare i profughi. È il comandamento di quest'ora. Amarli come si ama l'Italia. Essi sono l'Italia viva e dolorante. Dobbiamo spezzare con loro il nostro pane. Sono nella nostra famiglia i fratelli percossi dalla sventura. Non hanno più nulla. La loro casa dov'è? Qualcuno volgendosi indietro nella fuga precipitosa l'ha vista già preda alle fiamme. Quasi tutti non sperano più di ritrovare ancora una casa quando l'ora del ritorno sarà suonata. Bisognerà ricostruire dalle fondamenta.
      Non c'è da nutrire illusioni — dopo l'esperienza triennale della guerra — sulla longanimità sulla civiltà dei barbari culturizzati. Tutto ciò che i loro complici dell'intervento vanno cautamente propalando è pura sfrontata menzogna.
      Deserto nei campi rovine nei paesi: ecco la sorte che attende il Friuli dolce e sacrificato. Tutti i profughi non hanno più nemmeno una famiglia.
      Il ciclone improvviso ha separato violentemente ha sbalestrato agli opposti orizzonti i componenti delle famiglie. Ora si «cercano». Ci sono delle madri che ricercano i figli dei figli che domandano notizie delle madri. L'esodo è stato così repentino e tumultuoso che le famiglie sono state sommerse nella moltitudine senza nome.

(segue...)