(segue) Amare i profughi
(28 novembre 1917)
[Inizio scritto]
Ci sono migliaia di «dispersi».
La marcia al di là dei fiumi
verso il suolo della Patria non
minacciato ha le tappe segnate di morti. Sono stati travolti dalle
acque
o la pioggia e il freddo o la fame li ha uccisi
o sono stati
straziati dalle bombe e dalle mitragliatrici degli aeroplani
tedeschi.
Queste folle dolenti sono state
lasciate per giornate e notti intere lungo i binari morti delle
stazioni o abbandonate nell'aperta campagna
alla sete
al freddo
alla fame. Dopo viaggi interminabili
sono giunte fra noi. Ma la loro
odissea non è finita; si può dire che comincia. Fra le
mura della grande città
si sentono ancora «disperse».
La grande città può sembrare loro egoista. Non vedono i
segni evidenti di una partecipazione al loro dolore. La gente le
guarda appena. E
forse
in questo grande mare umano
in movimento
dalla mattina alla sera
esse sentono più acutamente la loro
condizione di naufraghi.
Ma nelle grandi città
l'egoismo è nelle cose. Viviamo stretti
pigiati
accatastati
in questi alveari
in queste caserme; siamo — pur vivendo nella
stessa casa
allo stesso piano — estranei gli uni agli altri.
Nelle nostre case moderne non c'è posto
non ci sono i
focolari imponenti come nel Friuli. Il nostro spazio è
misurato
le scale non uniscono più; i cortili
fra le mura
grige rassomigliano a quelli delle prigioni. Ma nelle vecchie città
di provincia
l'ospitalità per i profughi — l'ospitalità
della casa — è più facile. Le case non sono
moderne. Non sono sempre brutte scatole di pietra. Mancano del
comfort medio-borghese
ma sono grandi. Il posto per i nuovi venuti
c'è sempre. Ed è la casa che i profughi cercano con un
desiderio
fatto di nostalgie e di rimpianti. Date le case ai
profughi! Requisite gli appartamenti vuoti; requisite —
almeno!
se non avete il coraggio di misure più radicali —
gli appartamenti
le ville
le fabbriche
gli alberghi dei sudditi
nemici. Ma soprattutto non fate della burocrazia dinanzi ai bisogni
primordiali della vita. Non avvelenate il soccorso. Che importa il
denaro se è accompagnato da una smorfia di indifferenza
di
noia?
(segue...)
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