Il “morale”
(18 giugno 1918)
Dal «Popolo
d'Italia» del 18 Giugno 1918.
Se le armate di Boroevic non hanno
sfondato le linee del nostro fronte
e non le sfonderanno più;
se il colpo della sorpresa è fallito
se l'offensiva nemica
appare già pregiudicata e votata all'insuccesso
non è
già perché c'erano dalla nostra parte — a nostro
favore — ostacoli naturali come fiumi e montagne
o artificiali
come reticolati e trincee; non è già o non è
soltanto perché abbiamo opposto cannoni a cannoni
mitragliatrici a mitragliatrici
uomini a uomini
ma gli è
soprattutto perché abbiamo opposto alla volontà nemica
di sopraffazione una volontà più forte
più
profonda
più decisa di riscossa. È il «morale»
che ci ha salvato. Il «morale»
cioè un complesso
di sentimenti
di nozioni che non si possono esattamente definire o
determinare o analizzare.
In che cosa consiste questo
«morale»
la cui assenza o la cui presenza fa vincere o
perdere le battaglie? Il «morale» consiste nella
coscienza della propria responsabilità
nella dedizione di se
stessi
nel non rifiutarsi mai al sacrificio
anche se supremo. Il
«morale» è la possibilità di scegliere fra
due eventualità: fra il ritirarsi e il non abbandonare il
posto: ad esempio
fra il salvarsi e il rifiutare ogni salvezza pur
di non cedere.
Quando il «morale»
determina nei soldati la preferenza costante per il minimo sforzo
per il minimo pericolo
segno è che il «morale» è
basso. Allora
viene Caporetto. Ma quando il «morale» è
alto
quando i soldati giurano a se stessi e alla Patria il «Di
qui non si passa!»
allora tutte le preparazioni nemiche —
per quanto minuziose e formidabili — non riescono a vincere
perché lo spirito domina e signoreggia la materia.
(segue...)
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