(segue) Orientamenti
(21 novembre 1919)
[Inizio scritto]

      Se dal punto di vista che chiameremo «morale» la vittoria del pus può essere interpretata come una mortificazione della vittoria italiana questo addolora noi e quanti vollero la vittoria; dal punto di vista strettamente politico la valanga socialista può essere molto meno stritolatrice di quanto non sembri e potrebbe finire per stritolare e frantumare se stessa. Niente c'è di definitivo nel mondo ma le cose meno definitive di questo mondo sono le vittorie elettorali. Anzitutto c'è una sproporzione grandissima fra forze reali del partito e massa elettorale. Il partito arriva si e no ai 100 mila iscritti dei quali 20 mila sono da considerare inefficienti perché «dimenticarono» persino di farsi rappresentare al Congresso Nazionale di Bologna e la massa elettorale tocca forse la cifra di due milioni di individui. Questa sproporzione è già motivo di vaghe preoccupazioni che traspaiono dalle righe dell'Avanti!. Ci sono delle vittorie che schiacciano come le sconfitte. Queste sotto il peso delle rovine; quelle sotto il peso talora più ingente delle responsabilità. In secondo luogo il nuovo Gruppo Parlamentare Socialista non è omogeneo nella sua composizione non è unanime per ciò che riguarda i metodi ed è anche diviso per ciò che ha attinenza cogli obiettivi supremi. Nel nuovo gruppo ci sono almeno tre gruppi. Il primo è composto dai vecchi deputati uscenti e rieletti i quali usati abusati e consumati da molti lustri nel gioco nelle schermaglie e nelle combinazioni parlamentari rappresentano un elemento «sedativo» e niente affatto propenso a gesti melodrammatici e meno ancora a scalmane stradaiole. Ci sono in mezzo i deputati organizzatori o sindacali i quali si avvicinano ai primi perché attraverso la dura esperienza delle competizioni economiche si sono convinti che il tessuto delle economie nazionali è intricato e complesso e che se è facile lacerarlo gettando il famoso «sasso» nella macchina non è altrettanto facile ricomporlo. L'economia capitalistica è — in un certo senso — refrattaria ai salti e all'oscillazione della politica. Si può cambiare da un giorno all'altro la forma politica di uno Stato ma non si cambia da un giorno all'altro la forma o meglio le infinite forme in cui si esprime l'attività economica di una nazione. Questo è il terreno spinoso sul quale i socialisti se non son pazzi devono procedere colla massima circospezione e colla massima calma e prendere a loro motto l'adagio latino: Festina lente! Questi neo-deputati che provengono dalle organizzazioni sindacali sono stati dei «collaborazionisti» in una infinità di istituti e di occasioni: hanno quindi dei precedenti; sono dei «pregiudicati» in materia e potrebbero decidersi ad assumere più vasta parte di collaborazione qualora il gioco valesse la candela. Finalmente c'è il terzo gruppo: dei bombacciani o leninisti. Costoro — non sappiamo quanti siano — si propongono realmente di essere i selvaggi del nuovo gruppo parlamentare o accadrà invece che salendo il non erto colle di Montecitorio adorno il panciotto dell'aureo fatidico dischetto si ridurranno a più miti consigli? Le metamorfosi rappresentano le necessità più elementari della vita sotto tutte le sue manifestazioni. Chi non si muove muore. Il guaio è che questi cari «selvaggi» (selvaggi per modo di dire perché Nicola il capintesta è una bestia assolutamente innocua che appartiene alla specie di quegli eterni malati che seppelliscono i sani) si sono un po' troppo compromessi davanti alle turbe elettorali. Hanno promesso troppo e a troppo breve scadenza: hanno gridato troppo: Viva Lenin e Viva la Russia: hanno agitato troppo dinnanzi alle masse il programma del comunismo immediato da realizzarsi il mercoledì successivo alle elezioni (siamo già al venerdì... e non si vede nulla!) per poter fare macchina indietro. Se il massimalismo italiano non paga la sua cambiale il popolino la protesterà e allora saran pasticci come si diceva in trincea. È evidente che il massimalismo si esaurirà nello sforzo di sostituire la facile «frase» rivoluzionaria all'impossibile «fatto» rivoluzionario.

(segue...)