(segue) Ritorno alla ragione?
(11 marzo 1920)
[Inizio scritto]
Come suonano bene questi
richiami «mazziniani» al dovere che solo giustifica il
diritto; e come ci riconosciamo in quelle necessità della
«produzione» che
per essere state riproclamate da chi
scrive due anni fa
gli valsero il gentile appellativo di «venduto»!
D'altra parte la prosa del
giornale imolese è stata provocata
e questo non è
simpatico.
«Queste polemiche ci
addolorano — geme La Lotta. «Ma perdio
non possiamo mica
sempre tacere!
«Si insulta il nostro
partito
si tenta la calunnia contro qualche suo esponente
si
coprono di vituperi i dirigenti della Camera del Lavoro
si procede
con sistemi che noi non siamo disposti a tollerare più oltre.
Tutti abbiamo un po' d'amor proprio
di dignità
ed amiamo le
nostre istituzioni che vogliamo salvaguardate più della stessa
nostra vita».
L'articolo di cui ci occupiamo
si conclude con questo aforisma solenne:
«La rivoluzione si fa
colle falangi dei coscienti e non con le turbe degli scontenti.
«Intenda chi deve!».
E anche questo
che è di
una evidenza lapalissiana
fu detto e ridetto
stampato e ristampato
su queste colonne
precisamente quando più folle si scatenava
fra città e campagna l'orgia della «frase»
rivoluzionaria.
Signori socialisti ufficiali
recitate il confiteor.
Non basta declinare le
responsabilità quando i nodi vengono al pettine
bisogna
adeguare in ogni momento i fatti e le parole e viceversa: questa è
la norma della più elementare probità politica. Non
gesti di rivoluzionarismo sbracato
quando la pratica è
riformista; e nemmeno l'ambiguità riformista
se si vuole
«una» rivoluzione.
(segue...)
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