Dopo due anni
(23 marzo 1921)
Questo articolo
fu pubblicato sul «Popolo d'Italia» il 23 marzo 1921
per
il secondo anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento.
Oggi compiono i due anni dal
giorno in cui sorsero i Fasci Italiani di Combattimento. Abbiamo
appena il tempo di evocare la data. La battaglia infuria dovunque. Le
cronache sono rosse e arrossate dal latin sangue gentile fascista. E
poi
non abbiamo la stoffa dei commemoratori. Camminiamo in avanti e
guardando dinanzi a noi. È il nostro stile. Siamo giovani
nati ieri e non abbiamo storia. O ne abbiamo troppa. Ma non ci pesa.
Non grava sulle nostre anime il passato
perché il tumultuoso
presente c'incalza verso l'avvenire. Non eravamo in molti
nella sala
di Piazza San Sepolcro due anni fa quando gettammo le prime basi
della nostra costruzione ideale. Un centinaio
forse. Io stesso —
mi sia consentita in questo caso la prima persona — non mi
cullavo in illusioni eccessive. Mi contentavo di costituire
in
prosieguo di tempo
un centinaio di Fasci nelle principali città
d'Italia.
Il Fascismo non aveva molti
numeri per conseguire un successo di adesioni e di popolarità.
Si chiamava di «combattimento» e questa parola
dopo
quaranta mesi di guerra
suonava ingrata alle orecchie di molta
gente; partiva in lotta contro il rinunciatarismo di marca più
o meno wilsoniana
il che alienava al Fascismo le simpatie della
democrazia tradizionale
la quale ha avuto dal destino la funzione di
fare dell'«imperialismo» per tutti i popoli
salvo che
per quello italiano; rivendicava la necessità dell'intervento
in guerra e la grandezza della vittoria
la qual cosa urtava i nervi
di coloro che intendevano superate le storiche differenziazioni di
neutralismo e interventismo; finalmente scendeva in campo apertamente
contro la demagogia socialista che convogliava tutti i malcontenti
delle classi medie ed esasperava
nell'assurda aspettazione del
paradiso russo
tutti i fanatismi politici e le miserie morali del
cosiddetto proletariato.
(segue...)
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