(segue) Il primo discorso alla Camera
(21 giugno 1921)
[Inizio scritto]

      Siamo d'accordo con i popolari per quel che riguarda la libertà della scuola; siamo molto vicini a essi per quel che riguarda il problema agrario per il quale noi pensiamo che dove la piccola proprietà esiste è inutile sabotarla che dove è possibile crearla è giusto crearla che dove non è giusto crearla perché sarebbe anti-produttiva allora si possono adottare forme diverse non esclusa la cooperazione più o meno collettivista. Siamo d'accordo per quel che riguarda il decentramento amministrativo con le dovute cautele: purché non si parli di federalismo e di autonomismo perché dal federalismo provinciale e così via di seguito per una catena infinita l'Italia ritornerebbe a quella che era un secolo fa.
      Ma vi è un problema che trascende questi problemi contingenti e sul quale io richiamo l'attenzione dei rappresentanti del partito popolare ed è il problema storico dei rapporti che possono intercedere non solo fra noi fascisti e il partito popolare ma tra l'Italia e il Vaticano. (Segni di attenzione).
      Tutti noi che dai 15 ai 25 anni ci siamo abbeverati di letteratura carducciana abbiamo odiato una «vecchia vaticana lupa cruenta» di cui parlava Carducci mi pare nell'ode «A Ferrara»; abbiamo sentito parlare di «un pontefice fosco del mistero» al quale faceva contrapposto un poeta «sacerdote dell'augusto vero — vate dell'avvenire»; abbiamo sentito parlare di una «tiberina — vergin di nere chiome» che avrebbe insegnato «la ruina d'un'onta senza nome» al pellegrino avventuratosi verso San Pietro.
      Ma tutto ciò che relegato nel campo della letteratura può essere brillantissimo oggi a noi fascisti spiriti eminentemente spregiudicati sembra alquanto anacronistico.
      Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. (Approvazioni).

(segue...)