(segue) Il Fascismo e i rurali
(25 maggio 1922)
[Inizio scritto]


      IV.
      Rurale e non agrario. Solo polemisti in malafede possono confondere questi due termini. Basta ricordare la clamorosa smentita degli anti-fascisti che gli Agrari si sono costituiti in regolare partito politico — previo regolare congresso nazionale — con relativo gruppo parlamentare all'infuori della Destra Nazionale; basta ricordare che accanto al Partito Politico Nazionale Agrario c'è una organizzazione economica intitolata Confederazione Nazionale dell'Agricoltura e basta da ultimo ricordare che a più riprese gli Agrari si sono scontrati — non incontrati — coi fascisti. Un ordine del giorno degli Agrari che protestavano contro le inframmettenze fasciste fu anzi riportato compiacentemente dall'Avanti!. Gli Agrari sono un conto; i rurali sono un altro. Gli Agrari sono grandi proprietari di terre e salvo lodevoli eccezioni fortemente conservatori; i rurali sono mezzadri fittabili piccoli proprietari giornalieri. Tra Fascismo e Agrari non corre buon sangue. Le rinnovazioni di taluni patti colonici hanno acuito le diffidenze tanto che taluni Agrari hanno l'aria di rimpiangere i tempi rossi. Essi non possono a lungo andare simpatizzare con un partito che non rispetta i loro egoismi ma li subordina agli interessi della produzione e a quelli della Nazione. La recente discussione parlamentare sul latifondo ha dimostrato che le posizioni degli Agrari e quelle dei Fascisti sono diverse se non antitetiche. Come si spiega allora l'adesione di vaste masse di «rurali» al Fascismo? All'epoca dei capovolgimenti delle baronie rosse fu ampiamente documentata — attraverso episodi ora grotteschi spesso criminali — la tirannia esercitata dai capi-lega. Tirannia che si esplicava nei boicottaggi nei sabotaggi negli incendi negli assassini negli scioperi interminabili e che aveva uno scopo ultimo: proletarizzare tutti i lavoratori della terra: ridurli tutti alla condizione di braccianti del territorio agricolo nazionale demanializzato cioè socializzato o burocratizzato. Chi ha vissuto in Romagna — specie nel Ravennate — conosce la tragedia di questa crisi della terra. Ora in un paese a fondo psicologico individualistico il «rurale» non può essere socialista. Le masse dei braccianti poterono in un primo tempo entusiasmarsi della formula: la socializzazione della terra — formula di una stupidità lacrimevole degna in tutto del socialismo cosiddetto scientifico di Enrico Ferri — ma il mezzadro ma il fittabile ma il piccolo proprietario — legato alla «sua» terra — non poteva sentire la novità e ne diffidava e si difendeva — «unguibus et rostris» — contro l'incombente pericolo della spogliazione. La verità umana è che il piccolo proprietario ci tiene al suo podere; la verità è che il mezzadro o il fittabile tende con tutte le sue forze a diventare proprietario — e ci è riuscito su vasta scala in questi ultimi dieci anni. La «socializzazione della terra» in un paese come l'Italia è specialmente assurda; ma intanto il pericolo di diventare universalmente poveri e nullatenenti doveva convogliare verso il Fascismo tutti gli elementi «rurali» che del loro lavoro precipuamente vivono. La terra ai contadini si gridava durante la guerra! I contadini stanno conquistando la terra colle loro forze: è chiaro che queste falangi serrate di nuovi piccoli proprietari non possono che detestare il socialismo e per quello che rappresentava ieri e per quello che potrebbe minacciare domani. Dal fascismo invece hanno tutto da sperare nulla da temere.

(segue...)