Passato e avvenire
(21 aprile 1922)
Questo articolo
pubblicato sul «Popolo d'Italia» il 21 aprile 1922
riafferma quella riconsacrazione della data del Natale di Roma
in
antitesi al 1° maggio dei socialisti
che era stata propugnata
dal Duce nel «Discorso di Bologna» del 21 aprile 1921.
Il Fascismo italiano si
raccoglie
oggi
attorno ai suoi mille e mille gagliardetti
per
celebrare la sua festa e quella del lavoro nell'Annuale della
fondazione di Roma. La manifestazione riuscirà severa e
imponente
anche nei centri dove è stata vietata dalla polizia
dietro ordine di un Governo che non sa e non vuole scegliere tra
forze nazionali e forze antinazionali e finirà per morire di
sua lacrimevole ambiguità.
La proposta di scegliere quale
giornata del Fascismo il 21 aprile
partì da chi traccia
queste linee e fu accolta dovunque con entusiasmo. I fascisti
intuirono la significazione profonda di questa data.
Celebrare il natale di Roma
significa celebrare il nostro tipo di civiltà
significa
esaltare la nostra storia e la nostra razza
significa poggiare
fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l'avvenire. Roma e
Italia sono infatti due termini inscindibili. Nelle epoche grigie o
tristi della nostra storia
Roma è il faro dei naviganti e
degli aspettanti. Dal 1821
dall'anno in cui la coscienza nazionale
si sveglia e da Nola a Torino
il fremito unitario prorompe
nell'insurrezione
Roma appare come la meta suprema. Il grido
mazziniano e garibaldino di «Roma o morte!» non era
soltanto un grido di battaglia
ma la testimonianza solenne che senza
Roma capitale
non ci sarebbe stata unità italiana
poiché
solo Roma
e per il fascino della sua stessa posizione geografica
poteva assolvere il compito delicato e necessario di fondere a poco a
poco le diverse regioni della Nazione.
(segue...)
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