(segue) Il Fascismo e i rurali
(25 maggio 1922)
[Inizio scritto]

      Qui in un certo senso è il prodigio atteso da secoli e secoli. Durante il Risorgimento i rurali o furono assenti o furono ostili. L'unità d'Italia è opera della borghesia intellettuale e di taluni ceti artigiani delle città. Ma la grande guerra del 1915-1918 inquadra a milioni i rurali. Tuttavia la loro partecipazione all'evento è nel complesso passiva. Sono stati rimorchiati ancora una volta dalle città. Ora il Fascismo tramuta questa passività rurale — i cui motivi più sopra ho illustrato — in una adesione attiva alla realtà e alla santità della Nazione. Il patriottismo non è più sentimento monopolizzato (o sfruttato) dalle città ma diventa patrimonio — anche — delle campagne. Il tricolore ignorato per un secolo sventola oggi nei più oscuri villaggi. Non tutto ciò che fiorisce e quasi esplode in questa specie di primavera della razza è destinato a rimanere: lo sappiamo; ma sappiamo anche che taluni capovolgimenti spirituali lasciano tracce profonde. Lasciamo agli imbelli o ai purissimi il compito e la noia di sofisticare sulla sincerità del patriottismo rurale. Siamo appena agli inizi di un nuovo periodo della storia italiana.
      E fra non molto tempo sarà compresa e valutata al giusto segno l'opera immensa tentata e compiuta in questi anni dal Fascismo.