(segue) Il discorso di Udine
(20 settembre 1922)
[Inizio scritto]

      Amici! Come la vita dell'individuo quella dei popoli comporta una certa parte di rischi. Non si può sempre pretendere di camminare sul binario Decauville della normalità quotidiana. Non ci si può sempre indirizzare alla vita laboriosa e modesta di un impiegato del lotto e questo sia detto senza ombra di offesa per gli impiegati delle cosidette «bische dello Stato». Ad un dato momento bisogna che uomini e partiti abbiano il coraggio di assumere la grande responsabilità di fare la grande politica di provare i loro muscoli. Può darsi che falliscano. Ma ci sono dei tentativi anche falliti che bastano a nobilitare e ad esaltare per tutta la vita la coscienza di un movimento politico del Fascismo italiano.
      Io mi ripromettevo di fare il discorso a Napoli ma credo che a Napoli avrò altri temi per esso. Non tardiamo più oltre ad entrare nel terreno delicato e scottante del regime. Molte polemiche che furono suscitate dalla mia tendenzialità sono dimenticate ed ognuno si è convinto che quella tendenzialità non è uscita fuori così improvvisamente. Rappresentava invece un determinato pensiero. È sempre così. Certi atteggiamenti sembrano improvvisi al grosso pubblico il quale non è indicato e non è obbligato a seguire le trasformazioni lente sotterranee di uno spirito inquieto e desideroso di approfondire sempre sotto veste nuova determinati problemi. Ma il travaglio c'è intimo qualche volta tragico. Voi non dovete pensare che i capi del Fascismo non abbiano il senso di questa tragedia individuale soprattutto tragedia nazionale. Quella famosa tendenzialità repubblicana doveva essere una specie di tentativo di riparazione di molti elementi che erano venuti a noi soltanto perché avevamo vinto. Questi elementi non ci piacciono. Questa gente che segue sempre il carro del trionfatore e che è disposta a mutare bandiera se muta la fortuna è gente che il Fascismo deve tenere in grande sospetto e sotto la più severa sorveglianza.

(segue...)