(segue) All'ateneo di Padova
(1 giugno 1923)
[Inizio scritto]

      Ebbene, finché ci saranno Università in Italia — e ce ne saranno per un pezzo — finché ci saranno dei giovani che frequenteranno queste Università e che si mettono in contatto con la storia di ieri, preparando la storia di domani; finché ci saranno questi giovani, le porte del passato sono solidamente chiuse. Io ne prendo garanzia formale. Ma aggiungo di più: che finché ci saranno questi giovani e queste Università, la Nazione non può perire. La Nazione non può diventare schiava perché le Università infrangono i ceppi, non ne creano di nuovi.
      Se domani sarà ancora necessario per l'interno o per oltre le frontiere suonare la grande campana della Storia.
      Io sono sicuro che le Università si svuoteranno per tornare a ripopolare le trincee.
      Ed ora che mi avete ringiovanito di venti anni, vorrei che intuonassimo tutti insieme il gaudeamus igitur. In fondo aveva ragione Lorenzo de' Medici di cantare

Come è bella giovinezza...

      Noi saremmo veramente gli ultimi degli uomini se mancassimo al nostro preciso dovere. Ma non mancheremo. Io che ho il polso della Nazione nelle mani, che ne conto diligentemente i battiti, io che qualche volta tremo dinanzi alle responsabilità che mi sono assunte, io più che una speranza, sento fermentare nel mio spirito la suprema certezza, ed è questa: che per volere di Capi, per volontà di Popolo, per sacrificio delle generazioni che furono e di quelle che saranno, l'Italia Imperiale, l'Italia dei nostri sogni, sarà la realtà del nostro domani.