Al popolo di Civitavecchia
(10 giugno 1923)


      S'inizia con questa breve allocuzione, detta al popolo di Civitavecchia il 10 giugno, una serie di brevi discorsi che segnano le tappe d'un veloce viaggio compiuto dal Duce in Sardegna e in altre parti d'Italia. Nello stesso giorno il Duce salpava da Civitavecchia per recarsi a Caprera — alla tomba di Garibaldi — e quindi a Sassari.

      L'accoglienza di questa moltitudine di popolo, questa accoglienza cordiale ed entusiastica viene a comprovare la verità del discorso che io pronunciai ieri a Roma, e cioè che attorno al Governo fascista, a sorreggere il Governo fascista non c'è soltanto la forza, c'è il consenso cordiale e sincero della moltitudine.
      Civitavecchia è città cara al mio cuore di fascista: qui io discesi alla fine di ottobre dell'anno scorso, quando la trionfante rivoluzione delle camicie nere stava per assumere il potere con tutti i rischi e le responsabilità che questo compito terribile comporta.
      Dopo sette mesi di dura fatica e mentre ci prepariamo ancora a combattere, ancora a resistere, sento che il popolo italiano, nelle sue vaste masse non inquinate dall'opposizione demagogica, si schiera compatto attorno al Governo fascista.
      Parto di qui perché vado domani a compiere un rito di devozione e di amore. Vado a Caprera a inginocchiarmi sulla tomba dell'Eroe dei due mondi, quello che fu chiamato il Cavaliere del genere umano. Ci vado con coscienza tranquilla perché, tra le camicie rosse che seguirono Garibaldi e Garibaldi portò alla gloria in quaranta battaglie vittoriose, e le camicie nere, non c'è nessuna soluzione di continuità, ma c'è la stessa tradizione, lo stesso sacrificio, la stessa gloria, la stessa storia.
      Viva le camicie rosse! Viva le camicie nere! Viva l'Italia!

(segue...)