(segue) Al popolo di Cagliari
(12 giugno 1923)
[Inizio scritto]

      Mi sono domandato: «Come dunque è avvenuto che ad un dato momento si è potuto pensare nel Continente che questa Isola di eroi e di salde coscienze si fosse intiepidita nel suo fortissimo amore verso la Madre Patria?» Non ho mai creduto a ciò. Era un enorme equivoco: non era in giuoco la Patria; erano piuttosto in giuoco i pavidi ed inetti governanti di Roma che troppo tempo vi avevano dimenticati.
      Credo, e lo affermo qui al vostro cospetto, credo che poche regioni d'Italia possano rivaleggiare con voi in fatto d'amor di Patria. Perché voi, cittadini, popolo di Sardegna, voi l'amor di Patria lo avete celebrato nelle fangose trincee, dallo Stelvio al mare. Avete salito il vostro ineffabile e glorioso calvario: là avete lasciato migliaia di vostri figli, di vostri fratelli, il fiore della vostra stirpe.
      Non sarebbe dunque enormemente ingrata l'Italia se dimenticasse questo vostro magnifico olocausto di sangue, se non vi desse in pace quello che avete meritato in guerra?
      Ebbene, non sono venuto per fare promesse, ma assicuro che le promesse che ho fatto o farò saranno rigidamente mantenute.
      Fra tutti, uno spettacolo ha percosso il mio cuore di fascista intransigente, assoluto. Mi avevano detto che la Sardegna, per ragioni speciali di ambiente, era refrattaria al Fascismo. Anche qui si trattava di un equivoco. Ma da oggi le coorti e le legioni, le migliaia di camicie nere solidissime, i sindacati, i fasci, la gioventù tutta di quest'Isola, è là a dimostrare che, essendo il Fascismo un movimento irresistibile di rinnovazione della razza, doveva fatalmente toccare e conquistare questa Isola dove la razza italiana ha le sue manifestazioni più superbe.
      Vi saluto, camicie nere. Ci siamo veduti a Roma, ed i manipoli della Sardegna ebbero il plauso della Capitale. Voi portate nel cuore la fede che a un dato momento fece partire da tutte le città e da tutti i villaggi d'Italia migliaia e migliaia di fascisti per scendere a Roma. Nessuno può pensare di strapparci il frutto di una vittoria che abbiamo pagato con tanto generosissimo sangue di giovinetti immolatisi per schiacciare il bolscevismo italiano. Migliaia e migliaia di giovinetti che ebbero il martirio delle trincee, che hanno ripreso la lotta civile, che hanno vinto, hanno tracciato un solco tra l'Italia di ieri, di oggi e di domani.

(segue...)