(segue) Al popolo di Cremona
(19 giugno 1923)
[Inizio scritto]

      Signor Sindaco, le manifesto il mio più alto compiacimento. Tutti i paesi che ho attraversati mi hanno mostrato il loro consenso: dovunque ho constatato che la vita, ha un ritmo tranquillo; le messi biondeggiano nei campi e saranno presto mietute. La Nazione riprende la sua vita. E quando penso alla Nazione, sento nelle arterie affluire un sangue nobile purissimo: questo sangue vien dal cuore della Nazione italiana che riaccelera i suoi palpiti.
      Camicie Nere! Popolo di Cremona!
      Ecco che per un singolare destino propizio ai miei voti mi ritrovo, dopo sette mesi, a parlare a questa marea umana nella stessa armoniosa piazza che accolse la mia voce prima della Marcia su Roma.
      Io guardo nei vostri occhi, che possono guardare nei miei e interrogarmi e domando: «Mi trovate voi cambiato in qualche linea?». Sono sicuro che nessuno di voi ha pensato, nemmeno nei momenti di incertezza, che io potessi diventare diverso da quello che sono. Ho l'orgoglio di essere quello che sono, cioè un uomo che prima di imporre dei sacrifici agli altri li impone a se stesso, e prima di chiamare la disciplina per gli altri a questa disciplina si sottopone. Tutto il popolo è raccolto in questa piazza, non solo il popolo di Cremona, ma tutto il popolo italiano; tutto il popolo italiano delle tre diverse categorie che sono raccolte oggi intorno al Governo.
      È forse la prima volta nella storia italiana che il Capo del Governo può andare tra la folla tranquillamente senza le preoccupazioni che potevano affliggere certi individui in altri tempi. Sono della vostra razza, ho lo stesso vostro sangue, le stesse vostre virtù e naturalmente gli stessi vostri difetti. Appunto per questo si stabilisce fra noi la perfetta comunione degli spiriti: basta che io vi chiami, perché dalle città e dai borghi e dai casolari un coro unanime e formidabile risponda: «Presente!».

(segue...)