Al popolo di Novara
(25 ottobre 1923)


      Recandosi da Torino a Milano, il 25 ottobre 1923, S. E. il Capo del Governo sostò alla stazione di Novara, ove al popolo acclamante rivolse le seguenti parole:

      Cittadini!
      Non un discorso, ma un saluto che parte dal cuore. Da due giorni io passo tra manifestazioni di popolo altamente significative ed ammonitrici: vedo nella moltitudine di Torino, di Santhià, di Vercelli e di Novara, mescolati fraternamente insieme, i mutilati, i combattenti le madri e le vedove dei caduti, tutti coloro che formano quella che io chiamo la nuova e grande aristocrazia del sangue italiano. Vedo anche ufficiali e soldati del nostro Esercito che deve essere sacro per tutti i cittadini italiani; vedo le Camicie Nere, vedo il popolo lavoratore di tutte le categorie, di tutte le età. Che cosa significa questo se non una manifestazione di consenso non tanto alla mia persona, quanto al mio Governo, quanto alle idee che rappresento e difendo? Voi sentite tutti, anche i recalcitranti, quando facciano il loro esame di coscienza, voi sentite tutti che da un anno a questa parte l'atmosfera che si respira in Italia è un poco cambiata da quella degli anni infausti della rinuncia e della abiezione. Sembrano assai lontani i tempi in cui un Ministro del Regno d'Italia non sentiva la suprema vergogna di consigliare agli ufficiali di uscire in borghese e senza armi. Sembra assai lontano il tempo in cui gli elementi infidi o traviati della plebe, invece di onorare il sacrificio, insultavano i mutilati e spesso sputavano sui petti coperti dai segni del dovere e del valore.
      Ebbene, tutto ciò è finito e per sempre; tutto ciò è tramontato e non risorgerà mai più. Lo giurate voi?
      (Un grido unanime si leva dal popolo: Sì!).

(segue...)