(segue) Celebrazione perugina della Marcia su Roma
(30 ottobre 1923)
[Inizio scritto]
Dopo i Capi del Quadrumvirato io
voglio anche ricordare quelli pur noti che condussero le colonne
verso Roma. C'erano fra di loro dei Generali come Ceccherini, come
Fara, come Zamboni, uomini e nomi ben noti a tutto l'Esercito
italiano. C'erano anche i Comandanti delle nostre squadre: voglio
ricordare anche tutti i gregari, i morti e i superstiti e fra i primi
quello vostro, o Perugini, che morì sulle soglie di Roma;
voglio ricordare tutti quelli che a un dato momento dimenticarono
famiglia, interessi, amori, e non ascoltarono che il grido che
prorompeva dal mio e dai loro animi: il grido di: Roma o Morte!
Chi poteva resistere alla nostra
marcia? Noi ci preparammo a tutti gli eventi con tutte le sagge
regole della strategia militare e politica. La nostra lotta non era
diretta contro l'Esercito, al quale non cessammo mai di tributare
l'attestato della nostra più profonda e incommensurabile
devozione. Non era diretta contro la Monarchia, la quale ha
gloriosamente incarnato la tradizione della nostra razza e della
nostra Nazione. Non era diretta contro le forze armate della Polizia,
soprattutto non era diretta contro i fedeli della Benemerita coi
quali noi avevamo in molte località combattuto assieme la
buona battaglia contro gli sciagurati della Antinazione. Non era
nemmeno la nostra battaglia diretta contro il popolo lavoratore;
questo popolo che per qualche tempo è stato ingannato da una
demagogia stupida e suicida, questo popolo lavoratore in quei giorni
non interruppe il ritmo solerte e quotidiano della sua fatica;
assisteva simpatizzando al nostro movimento, perché sentiva
oscuramente, istintivamente che si sbarazzava il terreno da una
classe di politicanti imbelli. Noi facevamo anche l'interesse del
popolo che lavora.
Contro chi dunque abbiamo noi
diretto la nostra impetuosa battaglia? Da venti anni, forse da
trent'anni, la classe politica italiana andava sempre più
corrompendosi e degenerando. Simbolo della nostra vita e marchio
della nostra vergogna era diventato il parlamentarismo con tutto ciò
che di stupido e demoralizzante questo nome significa. Non c'era un
Governo; c'erano degli uomini sottoposti continuamente ai capricci
della cosiddetta maggioranza ministeriale. Chi dominava erano i capi
della burocrazia anonima, i quali rappresentavano l'unica continuità
della nostra vita nazionale. Il popolo, quando poteva leggere i
cosiddetti resoconti parlamentari ed assistere al cosiddetto incrocio
delle ingiurie più plateali fra i cosiddetti rappresentanti
della Nazione, sentiva lo schifo che gli saliva alla gola.
(segue...)
|