(segue) Celebrazione perugina della Marcia su Roma
(30 ottobre 1923)
[Inizio scritto]

      Era diretta la nostra battaglia soprattutto contro una mentalità: una mentalità di rinuncia, uno spirito sempre più pronto a sfuggire che ad accettare tutte le responsabilità: era diretta contro il mal costume politico-parlamentare, contro la licenza che profanava il sacro nome della libertà.
      E chi ci poteva resistere? Forse i pallidi uomini che in quel momento rappresentavano il Governo? Roma in quei giorni mi dava l'idea di Bisanzio: discutevano se dovevano o non applicare il loro ridicolo decreto di stato d'assedio, mentre le nostre colonne formidabili ed inarrestabili avevano già circondato la capitale. Non costoro potevano coi loro reticolati, con le loro mitragliatrici, che al momento opportuno non avrebbero sparato, non costoro potevano impedire a noi di toccare la meta. E meno ancora i vecchi partiti. Non certamente i partiti della democrazia, frammentari, segmentati all'infinito; non certamente i partiti del cosiddetto sovversivismo che noi abbiamo inesorabilmente spazzato via dalla scena politica italiana e nemmeno il partito del dopoguerra, il cosiddetto partito popolare italiano, che ha rivaleggiato con il socialismo quando si trattava di fare della demagogia per mercato elettorale.
      Ora tutti questi partiti dispersi e mortificati vivono della nostra longanimità, né noi, o cittadini, o Camicie Nere, intendiamo di sacrificarli. La nostra è una rivoluzione originale e grandiosa che non ha fatto i tribunali straordinari e non ha fucilato nessuno. Non è necessario fare una rivoluzione secondo gli stampi antichi. Ci deve essere una originalità nostra, fascista e latina. Del resto il consenso del popolo è immenso: la forza delle nostre legioni è intatta, per cui se qualche uomo o qualche partito pretendesse di ritornare ai tempi che furono, quell'uomo e quel partito saranno inesorabilmente puniti.
      Camicie Nere, cittadini, noi non possiamo, non vogliamo più tornare al tempo in cui si elargiva una triplice amnistia ai disertori, mentre i mutilati non potevano circolare per le strade d'Italia. Né si deve più tornare al tempo in cui i partiti e la cosiddetta democrazia affogavano il popolo nel mare delle loro interminabili ciarle. Meno ancora si può tornare al tempo in cui era possibile mistificare le masse lavoratrici mettendole contro la Patria o fuori della Patria. Ebbene, sia detto qui in questa piazza meravigliosa e in quest'ora solenne: le sorti del popolo lavoratore sono intimamente legate alle sorti della Nazione, perché il popolo lavoratore è parte di questa Nazione. Se la Nazione grandeggia, anche il popolo diventa grande e ricco, ma se la Nazione perisce anche il popolo muore.

(segue...)