(segue) Celebrazione perugina della Marcia su Roma
(30 ottobre 1923)
[Inizio scritto]
Non è senza un profondo
disgusto che noi rievochiamo i tempi del dopoguerra: l'Esercito che
ritornava dalla battaglia di Vittorio Veneto non ebbe la grande, la
meritata soddisfazione di occupare Vienna e Budapest. Non già
per esercitarvi atti di prepotenza, perché i nostri soldati,
dovunque sono stati, hanno lasciato un buon ricordo incancellabile;
ma perché era giusto che i nostri battaglioni vittoriosi
sfilassero nelle città che erano state capitali del nemico
battuto.
Giacché questo non si osò
di fare perché il profeta di oltre oceano andava inseguendo le
utopie dei suoi 14 punti, almeno fosse stato concesso ai nostri
reggimenti vittoriosi di sfilare per le strade di Roma imperiale
perché avessero avuto nel tripudio di tutto il popolo e di
tutta la Nazione il senso augusto della nostra vittoria! Nemmeno
questo si volle! Ora questi tempi sono passati. Taluni politicanti
che non si muovono da Roma, che di questa città fanno centro
della loro vita e pretenderebbero fare centro dell'Italia il palazzo
di Montecitorio, girano poco. Non si muovono da Roma. Se avessero
l'abitudine di circolare in mezzo alla moltitudine italiana, si
convincerebbero che è ora di deporre le loro speranze, si
convincerebbero che non c'è più niente da fare, si
convincerebbero di una realtà che pareva sino a ieri la più
stupenda ed irraggiungibile delle utopie: la realtà è,
o cittadini, che il Capo del Governo gira tranquillamente in mezzo
alle moltitudini italiane ed ha da loro l'attestazione di un consenso
sempre più grande.
Chi oserà dire, sia pure
l'avversario in malafede dichiarata, chi oserà dire che il
Governo di Mussolini poggia soltanto sulla forza di un Partito? E non
era assurdo che si pretendesse da taluno di dare alla celebrazione
della Marcia su Roma il carattere esclusivo d'una manifestazione di
Partito? Non è una manifestazione di Partito, non è
solo il Fascismo che celebra la Marcia su Roma: sono accanto a noi
mutilati e combattenti che rappresentano, lo ripeto, l'aristocrazia
della Nazione. È accanto a noi la massa imponentissima dei
nostri operai, dei capi e dell'industria, sindacati nelle nostre
corporazioni. E soprattutto è con noi la moltitudine del
popolo italiano che da un anno a questa parte dà uno
spettacolo superbo di disciplina e dimostra che la ciurma era sana.
Solo i piloti erano deficienti e mancanti. No, o cittadini, non si
poteva pensare di assumere la somma delle responsabilità senza
prendere Roma: Roma è veramente il segno fatale della nostra
stirpe: Roma non può essere senza l'Italia, ma l'Italia non
può essere senza Roma.
(segue...)
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