Cinque anni dopo San Sepolcro
(24 marzo 1924)


      In poco più d'un anno d'intensa attività, il Duce e il Regime avevano dimostrato, e dimostravano ogni giorno, la loro capacità di rinnovare nella sua essenza la vita del Paese e di elevare la dignità d'Italia nel mondo. Ma i vecchi partiti - vinti ma non aboliti, in combutta con la Massoneria - non disarmarono: volutamente ciechi dinanzi alla realtà dei fatti, non rassegnati alla sconfitta, chiusi nelle strettoie intellettualoidi dei loro capi, rinfocolati dall'imminente campagna elettorale facevano pessimo uso della libertà generosamente concessa dal Fascismo ai loro giornali e alla loro attività politica. Di fronte al Fascismo che operava, si sentiva la sordida opera dissolvente di chi, fuori d'ogni responsabilità, s'abbandonava soltanto alla critica, all'intrigo, alla calunnia. Si preparava un'atmosfera di battaglia. Il Duce, celebrando al Teatro Costanzi in Roma, il 24 marzo 1924, il quinto anniversario della storica adunata di Piazza San Sepolcro, davanti a cinquemila sindaci adunati da tutte le regioni d'Italia, reagì energicamente alle prime avvisaglie della campagna avversaria, pronunziando il seguente discorso:

      Signori!
      E' con un senso composto di commozione e di orgoglio che io mi accingo a parlare dinanzi a voi, o primi magistrati dei nobili comuni d'Italia. Credo di non esagerare se affermo che da molti secoli Roma, la nostra Roma, non vide spettacolo più imponente e più solenne di questa adunata. Ho quasi l'impressione fisica di parlare non soltanto a voi, ma a tutte le popolazioni che voi rappresentate, all'intera Nazione. L'amministrazione è politica e la politica è amministrazione. Io vi prego di seguirmi con benevolo raccoglimento, perché non ho scritto nulla onde evitare il pericolo di scrivere un discorso che non avrei pronunziato e di pronunziare un discorso che non ho scritto.

(segue...)