(segue) Cinque anni dopo San Sepolcro
(24 marzo 1924)
[Inizio scritto]

      Ricordo questo congresso perché feci allora un primo tentativo infruttuoso di spersonalizzare il Fascismo, di smussolinizzare il Fascismo. A quella grande assemblea io dissi: «Guarite di me, fate il partito con una direzione collettiva, ignoratemi e, se volete, anche dimenticatemi». Non è stato possibile. Bisogna constatare come io constato, che questa è una assemblea imponente. Che cosa ci dice questo? Che i grandi movimenti storici non sono già soltanto il risultato di una addizione numerica, ma anche l'epilogo di una volontà tenacissima.
      Nel 1922 io mi convinsi fin dall'estate che bisognava fare la rivoluzione. Lo Stato si disintegrava. Ogni giorno di più il Parlamento non era capace di dare un Governo alla Nazione. Le crisi si prolungavano e si ripetevano, suscitando sempre più profonda la nausea della Nazione. Nessuno, nessuno voleva portare sulle spalle la croce del potere. All'ultimo, poiché un gerente responsabile ci voleva in questa amministrazione, si prelevò Facta e gli si disse: «Tu devi essere il Presidente del Consiglio dei Ministri». E costui accettò la corvée sapendo, o intuendo, o presagendo che di lì a poco ne sarebbe stato liberato per sempre. Intanto il Fascismo accresceva se stesso come massa e come quadri, si dava una sua organizzazione militare, occupava Bologna, Ferrara, Bolzano, Trento, troncava nell'agosto l'ultimo tentativo di sovversivismo nazionale, il famoso sciopero dell'Alleanza del lavoro, e finalmente si accingeva a compiere la marcia su Roma.
      Sono io che l'ho voluta, questa marcia, io che l'ho imposta, io che ho tagliato corto a tutti gli indugi. Il 16 ottobre ho convocato a Milano quelli che dovevano essere i capi militari della insurrezione e dissi loro che non ammettevo more ulteriori e che bisognava marciare prima che la Nazione piombasse nel ridicolo e nella vergogna.
      Perché io chiamo rivoluzione quella dell'ottobre? Se levar le masse in armi, se condurle ad occupare gli edifici pubblici, se farle convergere armate verso la capitale non significa compiere quello che è l'atto specifico di ogni rivoluzione, cioè una insurrezione, allora bisognerà cambiar tutto il vocabolario della lingua italiana.

(segue...)