(segue) Su l'indirizzo di risposta al discorso della Corona
(7 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Veniamo alle elezioni italiane.
Qui si è fatto il processo alle elezioni del 6 aprile. Ebbene,
guardate, io voglio ragionare per assurdo e mettermi sul vostro
stesso terreno polemico. La lista nazionale ha riportato 5 milioni di
voti, cioè 4 milioni e 800 mila. Ebbene, io sono disposto a
regalarvi un milione e 800 mila voti; ma voi dovete sempre ammettere
che tre milioni di cittadini coscienti e che, sommati, raggiungono i
vostri voti messi insieme, hanno votato con piena coscienza per il
Partito nazionale fascista. Non vorrete sofisticare, io spero, ad
esempio, sui 250 mila voti di preferenza, da me riportati in
Lombardia.
Voi dite che non avete potuto
tenere dei comizi. Voi credete che essi portino dei vantaggi? Credo
che il partito, che non tiene affatto comizi elettorali, abbia un
vantaggio sugli altri.
I comizi elettorali sono quella
tal cosa in cui tutti intervengono, fuorché gli elettori. Nel
1919 io ero acclamato nei comizi che chiamerò travolgenti di
Piazza Dante e di Piazza Belgioioso. In realtà non vi fu di
travolgente che la mia disfatta elettorale.
Non vorrete meravigliarvi per le
mie dichiarazioni circa la forza. Sono stato sincero. Una rivoluzione
può essere convalidata dal responso del suffragio elettorale,
ma può farne anche senza. In ciò è il carattere
tipico di una rivoluzione.
Voi dite che sono state commesse
orribili violenze. Non è vero. In fondo l'onorevole Matteotti
ha citato due casi, che sono discutibili, quelli di Melfi e di
Iglesias, che non credo vogliate far passare nella storia mondiale.
Vengo a voi, onorevole Amendola.
Nel 1919 voi siete stato accusato di tutte le più orribili
cose che un polemista disfrenato possa immaginare. Un Ecce homo.
Amendola. — Sciocchezze, che
il Popolo d'Italia ha avuto il torto di accogliere.
(segue...)
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