(segue) Su l'indirizzo di risposta al discorso della Corona
(7 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Fu per me una rivelazione, una
singolarissima rivelazione, quando, nel 1914, alla vigilia della
guerra seppi che a Napoli c'era un clan di borbonici che pubblicavano
perfino un giornale e aspettavano il ritorno della defunta dinastia.
Della stessa razza e dello stesso
calibro sono coloro che, dopo due anni, non perdonano ancora il fatto
che ci sia stata una crisi che non ha avuto la soluzione attraverso i
binari parlamentari mentre ha già trovato la sanatoria, non
solo attraverso la parola del Sovrano, ma attraverso a tutto quello
che si è fatto.
Poi, accade talvolta che
l'opposizione si dà delle arie cattedratiche che ci
indispongono: pare che là ci siano dei pozzi di sapienza,
delle arche di dottrina, uomini che recano lo scibile ambulante!
Niente affatto!
Qui, nella maggioranza, ci sono
almeno 100 uomini di primissimo ordine. Sì, che vengono
dall'Università, dal giornalismo, dalla vita vissuta, dalla
trincea, e mio compito è, mio compito sarà —
spero di poterlo assolvere — di selezionarli, di metterli al
vaglio, di vedere quelli che debbono formare domani le classi
dirigenti e quelli che hanno il compito più modesto, ma non
meno utile, del numero o della comparsa.
E del resto, o Signori, noi
abbiamo nelle file dell'opposizione un uomo di teatro che ha dato del
teatro al mondo e anche all'Italia: e ho sempre creduto fosse un
grande teatro prima che un collaboratore del Mondo mi venisse a
mettere delle pulci nell'orecchio...
Amendola. — Non gli dia
retta!
Mussolini. — Non gli dò
retta! Non gli dò retta per la filosofia, ma gli dò
retta nella critica teatrale. Ebbene, le comparse sono necessarie.
Non si può essere tutti tenori di cartello, non si può
essere tutti soprani; ci vuole anche il baritono, che ha una figura
ambigua e fa certe parti antipatiche; ci sono le comparse che
riempiono la scena e danno il colore e il calore necessario
all'opera.
(segue...)
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