(segue) Su l'indirizzo di risposta al discorso della Corona
(7 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Bisogna uscire da questa
situazione paradossale. Siamo alla Marcia su Roma. Questa è la
tragedia del nostro ardimento. È infatti ardimento
straordinario quello di un partito che non aveva nemmeno cinque anni
di vita, che aveva soltanto tre anni di efficienza, che non aveva
ancora potuto procedere ad una selezione dei suoi elementi e nel
quale, in vista del successo, confluivano molti individui qualche
volta non rispettabili, e che pure assumeva il potere! All'indomani
stesso della sua vittoria cominciava ad avere qualche preoccupazione.
Ciò era chiaro al mio spirito, perché se ho fatto un
colpo di Stato, non ho fatto un colpo di testa.
Il Partito sente più o meno
oscuramente tutto il travaglio di questa sua formidabile
anticipazione. Chiamo con me al potere, pure essendo vittorioso su
tutta la linea, pure avendo 52.000 uomini armati in Roma che
avrebbero fatto tutto quello che io volevo si facesse, chiamo uomini
di tutti i Partiti, e dico: «Venite con me a collaborare,
perché noi siamo giovani, inesperti, e perché il
compito che ci attende è immenso, e fa tremare le vene e i
polsi». In questa Camera vi sono degli ex ministri: c'è
un ministro liberale, l'onorevole De Capitani, un ministro popolare,
l'onorevole Cavazzoni, un ministro democratico-sociale, l'onorevole
Di Cesarò. Io li chiamo a testimoni se nei mesi in cui hanno
lavorato con me c'è stato mai uno screzio qualsiasi, se la
collaborazione non è stata fraterna, ispirata a cameratismo,
ad obbiettività concrete, nonostante le nostre diverse
idealità e dottrine.
Ora siamo di fronte al domani; ma
prima è necessario vedere con occhio che vorrei chiamare
clinico quale è la situazione dell'Italia odierna. Nessuno può
negare, a parte coloro che sono come gli emigrati di Coblenza, che
vedono sempre nero per necessità di cose e per motivi di
polemica, che non ci sia un ritmo aumentato di vita. Nessuno può
negare che tutti i gangli del sistema nervoso della Nazione siano
restaurati. Certamente non voglio dipingere un quadro roseo. Nutro
sfiducia: (si ride) ci sono punti nerissimi e penombre: questa è
la vita. Ma se calcolate quello che era l'Italia nei primi mesi
dell'agosto 1922, quando i fascisti si accampavano a Bologna, quando
scendevano a Trento e patteggiavano col governatore della città,
dovete ammettere che un gran cammino è stato percorso e che il
merito di ciò va dato al Partito fascista.
(segue...)
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