(segue) Su l'indirizzo di risposta al discorso della Corona
(7 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Sono così obbiettivo e
sincero, che vi dico che la pressione c'è stata e c'è
ancora; ma che è mio proposito di alleviarla. Abbiamo già
cominciato, del resto: abbiamo diminuito la tassa di ricchezza mobile
ai ferro-tranvieri, abbiamo ridotto l'imposta sul vino, abbiamo
attuate altre agevolazioni. Tuttavia il caro-viveri, i cambi, mi
preoccupano. Se un finanziere eccelso mi dicesse come qualmente si
possono togliere queste penombre dal quadro, gli sarei grato della
sua collaborazione.
La situazione interna è
molto migliorata e vigilo a che questo miglioramento continui.
Non credo necessario soffermarmi
sulla politica estera che non è stata oggetto di grandi
critiche. Anche non ne voglio sopravalutare il successo, poiché
non è conveniente, non è elegante; c'erano tante
piccole e grandi questioni che avevano diviso gli italiani, che
avevano prodotto uno squilibrio morale profondissimo e sono state
risolte in maniera che ritengo soddisfacente per gli interessi
italiani.
Non v'è dubbio che vi siano
ancora grandi questioni da risolvere; massima quella delle
riparazioni, agevolata ora dal fatto che Stresemann ha dichiarato di
accettare il piano Dawes; ma credo che la situazione dell'Italia sia
grandemente migliorata di fronte a quella degli altri Stati. Bisogna
vigilare, perché vi sono Trattati che furono fatti con uno
spirito che non può essere il nostro; perché i Trattati
si fanno con la spada in pugno o secondo giustizia, e non si è
fatto né l'una cosa né l'altra. Perciò il
territorio europeo è pieno, qua e là, di punti di
dolore, di punti di protesta, di squilibri potenziali, che domani
possono provocare, non dirò la catastrofe, perché io
non ci credo, ma la crisi; non dico la catastrofe, perché i
popoli hanno ancora le ossa ammaccate per quella che si chiuse nel
1918.
(segue...)
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