(segue) Su l'indirizzo di risposta al discorso della Corona
(7 giugno 1924)
[Inizio scritto]
È un quesito che pongo alla
vostra coscienza; voi lo risolverete; non tocca a me risolverlo.
Mi accadeva giorni fa di leggere
nella Histoire de la Science Politique di Janet tutto un lungo studio
che questo autore dedica al modo assai prudente con cui le Assemblee
di America e di Francia procedettero alla dichiarazione degli
immortali principi. I vostri predecessori erano assai timorosi,
dubbiosi, e dicevano: «Badate che è verissimo che il
Governo senza la legge può condurre al dispotismo, ma il
popolo senza la legge va all'anarchia, va al caos, va alla
disintegrazione nazionale».
E Turgot, uno degli ottantanovardi
più intelligenti e più fini e meticolosi, poneva un
limite netto al diritto e alla libertà. Se tutti gli uomini
che sono vissuti fin qui fossero stati sepolti in un avello, tutta
quanta la superficie della terra oggi sarebbe ricoperta di pietre, e
non avremmo noi forse il diritto di demolire questi monumenti sterili
e di disperdere queste fredde ceneri per nutrire i vivi?
Io dico: sì. Ebbene, noi,
che ci sentiamo di rappresentare il popolo italiano, dichiariamo che
abbiamo il diritto e il dovere di combattere ancora, di demolire i
monumenti sterili delle vostre ideologie, abbiamo il diritto e il
dovere di disperdere le ceneri dei vostri e anche dei nostri rancori,
per nutrire colla linfa potente, nel corso degli anni e dei secoli,
il corpo augusto e intangibile della Patria.
Dopo questo
discorso il Duce espresse, nei termini seguenti, il suo pensiero
sugli ordini del giorno presentati:
Non accetto l'ordine del giorno
che reca per prima la firma dell'on. Bentini. Egli ha accennato ad un
caso tipo, cioè ad un condannato innocente. Io non escludo di
poter rivedere il suo caso, perché nessun cittadino, malgrado
il cosiddetto regime del terrore, deve rimanere nelle carceri, se
realmente innocente.
(segue...)
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