(segue) Discorso del 3 gennaio
(3 gennaio 1925)
[Inizio scritto]
Signori!
Il discorso che sto per
pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere a rigore di
termini classificato come un discorso parlamentare. Può darsi
che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si
riallaccia, sia pure traverso il varco del tempo trascorso, a quello
che io pronunciai in questa stessa aula il 16 novembre. Un discorso
di sì fatto genere può condurre e può anche non
condurre ad un voto politico. Si sappia ad ogni modo che io non cerco
questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi. L'art. 47
dello Statuto dice: «La Camera dei Deputati ha il diritto di
accusare i ministri del Re e di tradurli dinanzi all'Alta Corte di
Giustizia.» Domando formalmente se in questa Camera o fuori di
questa Camera c'è qualcuno che si voglia valere dell'articolo
47.
Il mio discorso sarà quindi
chiarissimo, e tale da determinare una chiarificazione assoluta. Voi
intendete che dopo avere lungamente camminato insieme con dei
compagni di viaggio ai quali andrebbe sempre la nostra gratitudine
per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere
se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora
percorsa nell'avvenire.
Sono io, o signori, che levo in
quest'aula l'accusa contro me stesso.
Si è detto che io avrei
fondato una Ceka.
Dove? Quando? In qual modo?
Nessuno potrebbe dirlo. Veramente c'è stata una Ceka in Russia
che ha giustiziato senza processo dalle 150.000 alle 160.000 persone,
secondo attestano le statistiche quasi ufficiali. C'è stata
una Ceka in Russia che ha esercitato il terrore sistematicamente su
tutte le classi borghesi e sui membri singoli della borghesia, una
Ceka che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione. Ma la
Ceka italiana non è mai esistita.
(segue...)
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