(segue) Discorso del 3 gennaio
(3 gennaio 1925)
[Inizio scritto]

      Finalmente venne dinanzi a noi una questione che ci appassionava: la domanda dell'autorizzazione a procedere con le conseguenti dimissioni dell'on. Giunta. La Camera scatta. Io comprendo il senso di questa rivolta e pure dopo 48 ore io piego ancora una volta giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente, piego questa assemblea riottosa, riluttante, e dico: «Accettate le dimissioni» e le dimissioni sono accettate.
      Ma non basta ancora: compio un ultimo sforzo normalizzatore: il progetto di riforma elettorale. A tutto questo come si risponde? Si risponde con una accentuazione della campagna e si grida: «Il Fascismo è un'orda di barbari accampati nella Nazione ed un movimento di banditi e di predoni», e s'inscena, o signori, la questione morale! Noi conosciamo la triste istoria delle questioni morali in Italia.
      Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un'associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico, morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento fino ad oggi.
      In questi ultimi giorni non solo i fascisti ma molti cittadini si domandano: c'è un Governo? Questi uomini hanno una dignità come uomini? Ne hanno una anche come Governo? Sono stato io che ho voluto che le cose giungessero a questo determinato punto estremo. È ricca la mia esperienza di vita di questi sei mesi. Io ho saggiato il Partito. Come per sentire la tempra di certi metalli bisogna batterli con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini. Ho visto che cosa valgono e per quali motivi ad un certo momento quando il vento è infido, scantonano per la tangente. Ho saggiato me stesso. E guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero stati in giuoco gli interessi della Nazione. Un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere. Il popolo vuole rispecchiata la sua dignità, nella dignità del Governo, ed il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: basta! la misura è colma!

(segue...)