Elogio ai gregari
(28 febbraio 1925)
Il Partito, come
si è detto, era stato mirabilmente - con disciplina,
compattezza ed energia - all'altezza della situazione. E il Duce
pubblicò, nel numero di febbraio di «Gerarchia»,
questo «Elogio ai gregari» che - mentre prende atto
dell'opera svolta anche dai più umili - riassume in ampia
sintesi il profilo storico della battaglia combattuta e vinta.
Colui che al primo o al secondo
piano, in misura maggiore o minore, è il protagonista
dell'azione politica e drammatica, non è sempre il più
indicato per fare la filosofia di quell'azione: per riviverla, cioè,
sotto la specie della critica, e ridotta quindi alle sue linee
essenziali o di pura necessità.
Di questo preambolo, bisogna
tenere conto per valutare ciò che sto per dire. Ma per
comprendere come io mi accinga al riesame critico della situazione,
si deve sapere che io considero la politica come una milizia o
combattimento; come una operazione strategica, conclusa la quale,
bisogna tenere il gran rapporto, onde esaminare le fasi, i risultati
della battaglia e prendere atto dei dati sperimentali che da essa
scaturiscono.
La battaglia politica che sto per
esaminare, è quella che ha inizio il 20 dicembre 1924, colla
presentazione improvvisa del disegno di legge di riforma elettorale e
si chiude il 17 gennaio 1925 con l'approvazione della riforma da
parte della Camera. Il periodo in questione è di grande
interesse dal punto di vista politico e storico.
I.
La bomba, come tutte le bombe che
si rispettano, scoppiò all'improvviso, ma era stata preparata
nei segreti laboratori di Palazzo Chigi, sin dal maggio 1924, cioè
sin dall'indomani della riapertura della Camera, o forse anche prima,
durante i lavori della Pentarchia. Fu appunto nei giorni che
precedettero il varo del listone, che io cominciai a dubitare della
legge Acerbo, di fronte al panorama politico che essa aveva
suscitato. Le anticamere del Viminale piene di postulanti —
molti dei quali, delusi, divennero, di poi, nemici ferocissimi del
Governo Fascista — tutto il rigurgito, spesso mediocre, della
provincia confluito a Roma, con le sue beghe, i suoi personaggi; la
lotta talvolta drammatica per le inclusioni o le esclusioni di un
nome; l'imbarco nel listone dei vecchi uomini della Vittoria, e poco
mancò non entrassero — con Giolitti — anche quelli
della disfatta; dentro una stanza un gruppo di uomini intenti a
manipolare questa difficile materia, a sceverare gli eletti dai
reprobi, attraverso un esame necessariamente sommario e influenzato
da mille interessi e passioni.
(segue...)
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