(segue) Elogio ai gregari
(28 febbraio 1925)
[Inizio scritto]
L'Aventino, che correva pericolo
di sfondamento sul terreno politico, tentò la sua disperata
diversione giudiziaria-morale, gettando in pasto all'opinione
pubblica il memoriale Rossi.
L'antitesi nella quale si era
immobilizzata la vita italiana da sette mesi, si presentava ancora
una volta — nei suoi termini irriducibili — dinanzi alla
coscienza della Nazione, verso la grigia fine del 1924. Il Partito
Fascista avverte il pericolo e tenta di spezzare, con una
insurrezione di masse limitata a sole devastazioni, senza spargimento
di sangue, e comunque rapidamente contenuta dal Governo, il cerchio
infausto. Io mi convinco che l'operazione sul fronte politico non
aveva raggiunto lo scopo e allora mi decido ad impegnare la battaglia
sul terreno prescelto dai miei avversari, prendendo, però,
d'improvviso, l'iniziativa delle operazioni. Questo spiega il
discorso aparlamentare del 3 gennaio. Da quel giorno la questione
morale, che l'opposizione nell'aula non aveva mai agitato, diventa
una carta straccia nel gioco dell'Aventino. La categorica
rivendicazione di ogni responsabilità smonta irreparabilmente
il «processo al regime». Su questo terreno oramai la
battaglia è perduta per l'Aventino, il quale ora, punta
disperatamente sulla manovra politica sospensiva dei tre presidenti.
È l'Aventino che abbandona il terreno morale, per ricorrere
alla pregiudiziale politica. È l'Aventino che conferma la sua
disfatta sul terreno morale, con l'aggravante che anche la ritirata
sulle posizioni politiche viene ad essere tagliata dalla sconfitta
clamorosa delle opposizioni nell'aula. Talché l'Aventino non
riesce a provocare la crisi sul terreno morale manovrando la piazza,
né su quello politico lottando o manovrando nel Parlamento.
Testardo nello sperare come tutti i disperati, calcola sulle
opposizioni del Senato, le quali, sul terreno della legge elettorale
si contano, toccando la cifra di 58, contro 214 favorevoli al
progetto del Governo.
(segue...)
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