Dopo l'attentato Zaniboni
(5 novembre 1925)
Il giorno
seguente, 5 novembre, la popolazione fu informata del complotto che
una brillante operazione di Polizia era riuscita a sventare il giorno
precedente. La parte più torbida delle opposizioni, capitanata
dalla Massoneria, che sapeva di avere in Mussolini un nemico
inesorabile, dopo avere tentato ogni via per abbattere il Regime,
dopo aver invano sperato nella malattia del Duce - si abbandonava
all'estrema onta dell'assassinio. Un emissario della Massoneria, un
ex-generale dimentico dei suoi doveri di soldato e del suo passato di
guerra, aveva assoldato un ex-deputato socialista, l'on. Zamboni.
Questi si era appostato, sotto falso nome, in una camera d'Albergo,
all'angolo di Via del Tritone, e - servendosi della persiana come
feritoia - aveva puntato un fucile da guerra sul balcone di Palazzo
Chigi, donde il Duce doveva arringare la folla. Fu arrestato in
quella camera, meno di due ore prima dell'ora in cui il Duce apparve
al balcone. La reazione dell'opinione pubblica fu enorme: da tutta
Italia giunsero al Duce manifestazioni ardenti per lo scampato
pericolo; alcune personalità chiesero d'inscriversi ai Fasci;
le Camicie nere fremevano ed era prevedibile una serie di reazioni
violente.
Ma il Duce seppe
frenarle in tempo. Furon fatte occupare le logge massoniche; fu
sciolto il Partito Socialista Unitario; fu sospeso il suo organo
ufficiale, «La Giustizia» di Milano, e a tutte le
autorità fasciste il Duce diramò la seguente circolare:
La notizia del mancato attentato
contro di me non deve in alcun modo suscitare rappresaglie da parte
fascista. L'ordine non deve essere minimamente turbato. Lo esigo con
la massima severità. Il fallito tentativo conferma la
disperazione degli elementi più torbidi dell'opposizione, che
vedono la loro battaglia ormai irremissibilmente perduta ed assistono
al crescente consenso del popolo italiano col Regime.
(segue...)
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