(segue) La legge sindacale
(11 marzo 1926)
[Inizio scritto]
Vi è un'altra ragione che
vi spiega questa legge.
Meditando su quello che accade
nelle società contemporanee, io mi sono convinto che si
potrebbe forse stabilire questa legge: che la vita moderna ha abolito
ogni margine. Non c'è più margine per gli individui e
non c'è più margine nemmeno per i popoli. Nessuno, né
individuo né popolo, può permettersi il lusso di fare
quello che faceva venti anni fa. La lotta per la vita è
diventata e sta diventando sempre più ardua. Le società
nazionali che un secolo fa erano scarse di numero, oggi sono
imponenti di popolazione. La popolazione dell'Europa è
aumentata di alcune decine di milioni.
Oggi non vi è individuo che
possa permettersi il lusso di commettere delle sciocchezze e non vi è
popolo che possa darsi alla pazza gioia degli scioperi ripetuti e
permanenti. Un'ora sola, dico un'ora sola di lavoro perduto in
un'officina, è già una grave jattura di ordine
nazionale. Se ritornate col pensiero a quello che si faceva quando si
perdevano dei mesi intieri, quando uno dei più grandi
stabilimenti dell'Italia contemporanea, stabilimento che è un
vanto dell'economia italiana, ha avuto uno sciopero di 40 giorni
semplicemente perché si era spostata la lancetta
dell'orologio, voi vi renderete conto che usciamo veramente dal
pelago disgraziato per andare verso la riva della saggezza.
Onorevoli Senatori, rinunzio ad
altre considerazioni e vi prego, nella vostra alta coscienza, nel
vostro squisito senso di responsabilità, di dare il vostro
suffragio favorevole a questo disegno di legge.
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