Al popolo di Prato
(25 maggio 1926)


      Nello stesso giorno, 25 maggio 1926, il Duce partì da Pisa per Prato alle ore 12.15' e nel pomeriggio - davanti alle maestranze di oltre trecento stabilimenti della più industre tona toscana, che gremivano la Piazza San Francesco - pronunciò, dal balcone della Biblioteca Roncioniana di Prato, il seguente discorso:

      Cittadini di Prato! Camicie Nere!
      Oggi ho avuto la ventura di attraversare grande parte della Toscana dalle foci dell'Arno a questi primi contrafforti dell'Appennino ed ho ancora negli occhi la visione di questa vostra fertile dolce e forte terra. Sono ancora sotto l'impressione dei mirabili candidi marmi di Pisa. È giusto che si chiuda la mia giornata in questa industre ed operosa Prato. È bello e doveroso che da una parte sorgano rivendicati i magnifici monumenti del passato, perché il popolo che non rispetta le tradizioni del passato, trascura una parte di vita; ma la resurrezione del vostro palagio pretorio deve essere uno sprone e un aculeo per marciare verso l'avvenire. Mi tardava venire in questa Prato che lavora, che produce, che esporta, che ha masse operaie disciplinate, che applica il principio vitale della collaborazione di classe, perché il principio opposto, della lotta di classe, significa soltanto distruzione di ricchezza e rovina anche del popolo.
      Voi sentite che solo dall'armonia costituita dai tre principi, capitale, tecnica, lavoro, vengono le sorgenti della fortuna.
      Ieri dissi a Genova che sulla nave uno solo dev'essere il comandante e dev'essere ubbidito sempre, che se invece la ciurma invade il ponte di comando la nave va a picco.
      Ieri ho parlato a migliaia di lavoratori adunati sulle calate del porto di Genova formidabile. Era una massa compatta raccolta già nelle Corporazioni fasciste che mi guardava con occhi di simpatia. Ma poiché si tratta di una massa solo da pochi mesi schierata attorno ai gagliardetti, accanto agli sguardi della franca adesione, vi era la curiosità e forse il dubbio.

(segue...)