(segue) Al popolo di Roma per il XXVIII Ottobre
(28 ottobre 1926)
[Inizio scritto]
(A questo punto, una parte della
folla, che non riesce a vedere il Duce, grida pregandolo di spostarsi
sul balcone. Egli acconsente sorridendo).
Non ci siamo noi uomini del Regime
fascista chiusi in una torre d'avorio lontani da ogni contatto con le
moltitudini laboriose. Noi stiamo a contatto continuo e diretto col
popolo che lavora. Nello Stato, il popolo circola. Oggi i diritti del
popolo sono riconosciuti, tutelati, armonizzati.
Camicie Nere!
Dall'anno scorso a quest'anno noi
abbiamo fatto la vera, unica, profonda rivoluzione: abbiamo sepolto
il vecchio Stato democratico, liberale, agnostico e paralitico, il
vecchio Stato che, in omaggio agli immortali principi lascia che la
lotta delle classi si tramuti in una catastrofe sociale. A questo
vecchio Stato che noi abbiamo sepolto con un funerale di terza classe
(ilarità), abbiamo sostituito lo Stato corporativo e fascista,
lo Stato della società nazionale, lo Stato che raccoglie,
controlla, armonizza e contempera gli interessi di tutte le classi
sociali, le quali si vedono egualmente tutelate. E mentre prima,
durante gli anni del regime demo-liberale, le masse laboriose
guardavano con diffidenza lo Stato, erano al di fuori dello Stato,
erano contro lo Stato, consideravano lo Stato come un nemico d'ogni
giorno e di ogni ora, oggi non c'è italiano che lavori, che
non cerchi il suo posto nelle corporazioni, nelle federazioni, che
non voglia essere una molecola di quel grande, immenso organismo
vivente che è lo Stato nazionale corporativo fascista. Ed
allora? Allora, o camerati, è il caso di riprendere un motivo
che io prospettavo di scorcio or sono poche settimane, a Perugia. È
perfettamente idiota descrivere il Regime fascista come il prodotto
di una oligarchia in cima alla quale sta un tiranno misterioso e
crudele (applausi vivissimi): è perfettamente assurdo accusare
il Regime fascista di essere un regime antipopolare e ostile alle
classi laboriose.
(segue...)
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