(segue) Per la mostra del grano
(9 ottobre 1927)
[Inizio scritto]

      Come le altre Nazioni dell'Occidente, anche noi abbiamo ricondotto la lira ad una più decente posizione. Naturalmente ci sono stati dei dolori, ma dolori infinitamente più gravi ci sarebbero stati se la lira fosse precipitata, se la lira si fosse polverizzata, se avesse preso la fantastica velocità svalutativa del marco tedesco, che ad un certo momento stava in questo rapporto col dollaro: «4200 marchi di carta per comperare un dollaro solo!».
      Ora in tutti i Paesi dove si è attuata una parziale rivalutazione, la prima a soffrirne è stata l'agricoltura. E le ragioni sono così ovvie, che non voglio far torto alla vostra intelligenza elencandole.
      Non solo in Italia, dovunque. Ecco, ad esempio, che cosa scriveva un giornale francese nel luglio scorso, e precisamente Les travailleurs des Alpes: «I piccoli produttori che, a corto di danaro, sono obbligati a vendere all'atto della raccolta, sono abbominevolmente danneggiati: lo Stato non ha fatto nulla e si è visto il prezzo del grano precipitare fino a franchi (francesi) 150... I prezzi attuali del grano non sono fatti per incoraggiare la coltura del grano e siamo sicuri che, se questi prezzi rimangono, si vedranno molti terreni passare ad altre colture.»
      Dunque se l'Italia fascista piange, gli altri Paesi non ridono.
      Determinatasi la crisi, il Governo fascista ha agito per attenuarla. L'azione è stata immediata e concreta. Scartato ogni intervento ufficiale sui prezzi, l'azione del Governo fascista ha determinato, a sollievo immediato dell'economia rurale: 1°) una diminuzione dei salari; 2°) una diminuzione del prezzo dei fertilizzanti; 3°) una sistemazione del credito agricolo; 4°) una riduzione delle tasse ed imposte pagate allo Stato che non raggiungevano il totale di mezzo miliardo; 5°) la composizione equitativa delle vertenze per le affittanze agrarie.

(segue...)