Per la riforma della Costituzione
(12 maggio 1928)
Al Senato del
Regno, nella tornata del 12 maggio, discutendosi il progetto per la
riforma della Costituzione, il Duce pronunziò questo discorso
che - per i suoi elementi storici e politici - pone alcune delle basi
essenziali per la formazione e lo sviluppo del nuovo Stato Fascista.
Onorevoli Senatori!
Ero molto incerto nel giudicare
circa l'opportunità di prendere la parola durante questa
discussione, poiché quando si parlano lingue diverse — e
lingue diverse sono quelle parlate dal Fascismo, da una parte, e dal
demoliberalismo superstite dall'altra — ogni discussione è
perfettamente superflua. Ma io voglio fare alcune dichiarazioni che
dirigerò a quei Senatori, i quali, di fronte alla gravità
dell'argomento, potrebbero essere più o meno turbati.
Vi dichiaro subito che la legge
elettorale sottoposta ai vostri suffragi è conseguenza di
premesse dottrinarie e d'una situazione di fatto determinatasi nel
Paese. Non è già uno strumento per avere una Camera
monocroma, di un solo colore, perché a questo scopo sarebbe
stato più che sufficiente il collegio uninominale (vivissime
approvazioni). Avremmo avuto, anche in questa eventualità,
l'unanimità più uno (approvazioni). La ragione sta
invece in un fatto di natura tipicamente costituzionale che oggi non
è stato prospettato in tutta la sua importanza.
Il fatto di cui parlo è il
riconoscimento del sindacato, organo di diritto pubblico. Qui è
la grande novità legislativa della Rivoluzione fascista; qui è
la sua originalità (grida: «Benissimo!»). Che cosa
significa il sindacato organo di diritto pubblico? Significa che il
sindacato non è più fuori dello Stato né contro
lo Stato, ma è nello Stato, riconosciuto dallo Stato, e come
tale ha il diritto di rappresentare tutte le categorie e di imporre a
tutte le categorie un contributo sindacale obbligatorio. Quando
esiste questo dato di fatto nella costituzione italiana — e mi
riferisco alla legge 30 aprile 1926 — la legge elettorale non
ne è che la logica, naturalissima conseguenza. Ma poi,
onorevoli Senatori, chi si vuole ingannare? Ma veramente, in regime
di partiti, il popolo è sovrano? Specialmente quando la
disintegrazione dello Stato è già arrivata ad un punto
in cui ad esempio «35 liste di 35 partiti» invitano il
popolo ad esercitare la sua cartacea sovranità?
(segue...)
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