(segue) Per la riforma della Costituzione
(12 maggio 1928)
[Inizio scritto]

      Siamo sul terreno dell'archeologia o della politica? O, se volete, siamo sul terreno dell'immanenza o su quello della contingenza?
      S'è mai pensato che una costituzione od uno statuto possano essere eterni e non invece temporanei? Immobili e non invece mutevoli? Ma richiamiamoci agli immortali, ai troppo immortali principi da cui tutto discende. Che cosa dice l'art. 27 della dichiarazione «des droits de l'Homme»? - «Tutte le costituzioni sono rivedibili, perché nessuna generazione ha il diritto di assoggettare alle sue leggi le generazioni che verranno».
      Vi richiamo agli immortali principi.
      Di immanente, onorevoli Senatori, di eterno, non vi sono che le leggi religiose. Il decalogo, ad esempio, è immanente, fatto da quel Mosè che Dante chiamò «legista sapiente»; dieci articoli che fanno bene per tutti i popoli, per tutte le altitudini, longitudini e latitudini. Ed anche allora fu necessario per dare seguito a questo decalogo che sul Sinai il profeta fosse quasi folgorato dalla rivelazione divina.
      Si aggiunga «uno dei fenomeni più interessanti», che, malgrado ciò, il decalogo, ispirato al monoteismo, fu un fenomeno unico nella storia del mondo antico, perché la Grecia continuò nel suo gaietto politeismo è Roma ebbe la sua non meno gaia, ma sempre politeista religione. Le costituzioni non sono che degli organi strumentali, risultati di determinate circostanze storiche, delle quali seguono lo sviluppo, la nascita, il declino.
      Ma poi, onorevoli signori, questo Statuto è stato forse fatto da una accolta di profeti? Ma niente affatto! Lo Statuto è stato fatto da alcuni signori che si sono raccolti attorno ad un tavolo. Essi hanno lasciato dei verbali che non erano conosciuti se non in numero di cinque.

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