(segue) Per la riforma della Costituzione
(12 maggio 1928)
[Inizio scritto]
Qui, in questo libro, ci sono
tutti e dodici e sono i verbali dei consigli di conferenze presieduti
da Carlo Alberto. Lettura interessantissima perché dimostra
che la posizione, per esempio, del Sen. Ruffini, oggi è
identica a quella che aveva allora l'onorevole marchese Solaro della
Margherita; cioè un'opposizione squisitamente reazionaria.
Voi sapete come nacque lo Statuto?
Fu determinato dai movimenti di Napoli e di Genova che preoccupavano
gravemente gli ambienti dinastici di Torino perché vedevano
nella irrequietezza di Genova la suggestione della pertinace
predicazione mazziniana.
Dicevo dunque che ad un certo
momento la marea ingrossò; ed il ministro dell'Interno
Borelli, nella seduta del 3 febbraio 1848, pose il quesito. Ma con
quale animo lo pose? «Andiamo alla rovina. È l'abisso. È
il salto nel buio. Forse l'Austria domani ci attaccherà,
perché noi, andando verso la carta costituzionale, vulneriamo
l'assolutismo austriaco. Fermatevi quindi alla posizione del 1815.
Ricordate che la santa alleanza ha rimesso i Re sui troni. Non siate
degli ingrati».
Ed allora questi galantuomini,
molti dei quali sono certamente dimenticati, e certamente è
dimenticato il segretario di questi consigli di conferenze che si
chiamava il signor Radicati, questi valentuomini: Borelli, Ministro
dell'Interno; il conte Havet, Segretario degli Affari di Giustizia;
il conte Di Revel, Primo Segretario di Stato per la Finanza, Primo
Segretario di Stato per i Lavori Pubblici; il conte di San Marzano,
Segretario di Stato per gli Affari Esteri; il signor Broglie,
Segretario per la Guerra; il marchese Altieri, Segretario per
l'Istruzione, si riunirono attorno ad un tavolo e non inventarono la
polvere. Perché? Perché avevano dinanzi tre
costituzioni: quella spagnola, quella belga e quella francese. Il di
San Marzano voleva che si studiassero anche certe costituzioni
germaniche. E ne uscì fuori lo Statuto del Regno attraverso
discussioni, che, in certi momenti, furono drammatiche, per le
esitazioni del Re Carlo Alberto, che furono vinte dopo che il
confessore del Re, l'Arcivescovo di Vercelli mons. D'Angennes, fece
comprendere che dopo tutto non sarebbe caduto né il Piemonte
né il mondo se si fosse data questa carta al Piemonte.
Bandiere alle finestre, musica nelle strade. Carlo Alberto non amava
queste manifestazioni. Non erano nel suo temperamento fine ed
aristocratico, sdegnoso di ogni forma di popolarità.
(segue...)
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