(segue) Per la riforma della Costituzione
(12 maggio 1928)
[Inizio scritto]
Ma già da allora si
cominciò a discutere su questo Statuto ed i pareri furono
divisi. Ci furono le eterne tre tendenze. Cioè gli estremisti
di sinistra, i quali, in uno dei quattro giornali che uscivano in
quel tempo a Torino, sostennero che si trattava di uno scherzo di
cattivo genere. Volevano ben di più. Ci furono gli altri del
centro che affermavano doversi accettare questa carta costituzionale
come un temperamento tra le opposte esigenze. Finalmente ci furono i
radicali di destra i quali, in contrapposto di quelli che allora si
chiamavano le teste bruciate, affermavano che lo Statuto era un passo
enorme, un vero salto nel buio. A tutti sovrastò Camillo di
Cavour, il quale fin da allora ammoniva che lo Statuto non era
eterno, non era immutabile. Era un punto di partenza e non un punto
d'arrivo.
Fin da allora, secondo la dottrina
costituzionale che fu sempre di poi accettata, si ammetteva che lo
Statuto fosse rivedibile, se le circostanze lo imponessero. È
quindi fatica, a mio avviso, superflua, e tuttavia commovente, fare
la guardia al Santo Sepolcro. Il Santo Sepolcro è vuoto. Lo
Statuto non c'è più, non perché sia stato
rinnegato, ma perché l'Italia d'oggi è profondamente
diversa dall'Italia del 1848.
Carlo Alberto stesso, in data 22
marzo, violò lo Statuto in un punto abbastanza importante, e
cioè per quello che concerneva la Bandiera dello Stato. Ben
avvisò Carlo Alberto, accettando il tricolore portatogli dai
patrioti lombardi, dopo averlo agitato dalle finestre di Palazzo
Madama, a farne il vessillo del Piemonte, perché fu il
tricolore che raccolse alla sua ombra tutti gli italiani.
È mai possibile un
raffronto fra l'Italia del 1848 e l'Italia d'oggi?
L'Italia di allora non aveva di
Stato nazionale che il Piemonte; l'Austria era un enorme impero che
andava dai monti della Boemia alle pianure di Ungheria, dal Danubio
al Ticino. Vi erano nella valle del Po dei ducatelli insignificanti;
il potere dei Papi, il granducato di Toscana e poi il Regno delle due
Sicilie. Vi erano vincoli doganali di ogni natura; non strade
ferrate, non flotta mercantile, non flotta militare. Solo più
tardi Cavour metterà gli occhi sulla Spezia per farne il
grande porto militare della nuova Italia. Non vi era borghesia se non
allo stato ancora affiorante o rudimentale; non vi era un popolo
differenziato come oggi; vi erano l'artigianato e la plebe dei campi,
lontana da ogni passione patriottica.
(segue...)
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