(segue) Per la riforma della Costituzione
(12 maggio 1928)
[Inizio scritto]

      Quando da queste condizioni del 1848 si viene alle moderne, ci è infinitamente dolce ripercorrere questo cammino, perché ciò significa l'orgoglio profondo di essere italiani. Oggi ci troviamo, onorevoli Senatori, di fronte ad un'Italia unita che non ha più i confini del Ticino, ma li ha al Brennero ed al Nevoso, con un popolo che attraverso l'educazione e l'organizzazione politica, sindacale, sportiva, morale del Fascismo, diventa sempre più consapevole dei suoi fini, della sua missione nel mondo, perché è mio convincimento che senza questa consapevolezza i popoli non hanno destino.
      Se negli ottanta anni trascorsi abbiamo realizzato dei progressi così imponenti voi pensate e potete supporre e prevedere che nei prossimi cinquanta od ottanta anni il cammino dell'Italia, di questa Italia che noi sentiamo così potente, così percorsa da linfe vitali, sarà veramente grandioso specialmente se durerà la concordia di tutti i cittadini, se lo Stato continuerà ad essere l'arbitro nelle contese politiche e sociali, se tutto sarà nello Stato e niente fuori dello Stato, perché oggi non si concepisce un individuo fuori dello Stato se non sia l'individuo selvaggio che non può rivendicare per sé che la solitudine e la sabbia del deserto.
      Onorevoli Senatori, dopo queste mie, dichiarazioni io ritengo che non mancheranno a questa legge i vostri favorevoli suffragi.