(segue) Ai Mutilati d'Italia
(4 novembre 1929)
[Inizio scritto]

      Chi, meglio di voi, può compiere quest'opera di educazione? Nelle città e nei villaggi voi rappresentate il sacrificio compiuto. La vostra mutilazione, la vostra invalidità è un discorso che tutti comprendono, è una eloquenza che arriva al cuore di tutti. Voi potete raccontare che cosa è stata la guerra, voi potete dire quanti e quali sacrifici siano stati necessari per raggiungere la Vittoria, voi potete confermare a tutti questi giovani e a tutto il popolo italiano che quando si è tanto sofferto e combattuto, la Vittoria diventa un patrimonio sacro, intangibile e inviolabile, che tutte le generazioni devono rispettare e aumentare. Dovete essere in questo senso i maestri e gli educatori del popolo italiano, e sono sicuro che adempirete questo compito.
      La vostra offerta d'oggi ha un particolare significato; voi offrite una somma che è ingente: date quattro milioni all'Erario, e questo avviene — e ciò va sottolineato — mentre molti poltroni, molti vociferatori e molti disfattisti pretenderebbero che l'Italia nuotasse nell'abbondanza, quando tutti i Paesi del mondo, non esclusi i più ricchi, attraversano delle crisi formidabili.
      Si tratta sempre più di quei disfattisti che noi incontrammo e flagellammo durante la guerra e dopo la guerra, si tratta di coloro che non hanno fede; di coloro che non hanno coraggio, di quelli che hanno paura della propria ombra. Ma oggi c'è un Governo che prende questi dubitosi eterni, questi scettici incorreggibili e potentemente li spinge avanti.
      Tutte le volte che nella meccanica sociale si giunge a quello che i fisici chiamano il punto morto, ci vuole lo spintone della violenza per mandare avanti sia gli individui, sia il popolo.
      Il vostro presidente vi ha detto che se ci fossero stati dei Governi differenti le fasi della guerra sarebbero state diverse. Lo credo anch'io. Non vi dico nulla di misterioso, nulla di stupefacente, se vi dico che se io avessi avuto la grande e terribile ventura di dirigere la Nazione durante la guerra, avrei, tra l'altro, applicato i miei convincimenti, le mie dottrine: prima di tutto avrei spazzato inesorabilmente dalla circolazione tutti i seminatori di panico e di discordia e li avrei cacciati al muro, esempio ammonitore e salutare a tutto il popolo. Finalmente avrei dato anche alla popolazione del retrofronte la necessaria, severa disciplina di guerra: avrei tolto quel divario che ci faceva tanto male, quando ritornavamo per i 15 giorni di licenza, fra la trincea dove si soffriva, si faticava, si sanguinava nel fango, e le città dove si conduceva la vita brillante, leggera, e insultatrice dell'esercito che si batteva. Poi avrei rastrellato dagli stabilimenti e dalle officine tutti gli uomini validi, che s'erano troppo facilmente abituati a fabbricare dei proiettili, pensando che era molto più difficile e pericoloso spararli.

(segue...)